Cultura e Spettacoli

Kundera e Pasternak, quanti misteri "letterari" (ri)spuntano dietro al Muro

L'ambiguo rapporto fra scrittura e politica nei Paesi dell'ex blocco sovietico. Il passato dell'autore de "Lo scherzo" a giugno sarà al centro di un convegno a Praga sui regimi totalitari. E intanto dietro il Nobel al padre del "Dottor Zivago" spunta l'ombra della Cia...

Kundera e Pasternak, quanti misteri "letterari" (ri)spuntano dietro al Muro

Le biografie sono un po' come le belle donne. A una certa età si ritoccano. E visto che gli scrittori notoriamente sono molto, ma molto più vanitosi delle donne; e visto che più sono famosi maggiormente cedono alla vanità; accade che - a volte - i mostri sacri della letteratura scelgano, al posto di un leggero trucco, un pesante restyling. È capitato a Günter Grass, che per sessant'anni ha taciuto sul suo passato di SS: nell'agosto del 2006, ormai settantottenne, lo scrittore tedesco (premio Nobel, per giunta) dichiarò, in un'intervista al giornale «Frankfurter Allgemeine Zeitung», di aver militato durante la guerra nella 10. SS-Panzer-Division "Frundsberg" delle Waffen-SS, come volontario e non precettato come si era fino a quel momento creduto. E scoppiò una polemica di cui ancora si sentono gli echi. Più recentemente è successo a un altro gigante della letteratura europea, Milan Kundera, il quale per più di mezzo secolo avrebbe (il condizionale è obbligatorio, non trattandosi di una confessione dello scrittore ma di un'accusa a lui rivolta) omesso un capitolo particolarmente interessante e per nulla edificante della propria vita: una collaborazione con la polizia segreta comunista. Lo scrittore ceco naturalizzato francese - secondo quanto rivelato nell'ottobre scorso dalla rivista «Respekt» di Praga che ha pubblicato un articolo di Adam Hradilek, autore di un'inchiesta basata sulla documentazione inedita dei regimi totalitari - nel 1950 denunciò alle autorità cecoslovacche un giovane studente, che poi venne condannato a 22 anni di carcere per diserzione e poi inviato ai lavori forzati in una miniera di uranio, come accadde a molti altri prigionieri politici dell'epoca, prima di essere rilasciato nel 1963. Chiuso nel suo "auto-esilio" parigino, conforme a quello che da anni sono le sue parole d'ordine, ossia silenzio e riservatezza (nessuna intervista, nessun incontro pubblico, nessuna apparizione né sui giornali né in televisione), Kundera in un primo tempo non ha voluto commentare l'episodio. Poi, messo alle strette dai media di tutto il mondo, in una dichiarazione all'agenzia di stampa Ctk ha negato tutto, dicendosi «assolutamente sconcertato da una cosa inaspettata di cui non ero al corrente e che non è accaduta». Proprio ieri, però, il direttore dell'Istituto ceco per gli studi dei regimi totalitari, Pavel Zacek, ha reso noto l'intenzione di tornare a esaminare, nel corso di una conferenza che si svolgerà a Praga nel mese di giugno, il «caso Kundera». La conferenza che si svolge nell'ambito del semestre ceco di presidenza Ue e il cui titolo sarà «Venti anni dopo», con chiaro riferimento alla fine della cortina di ferro - il Muro di Berlino cadde proprio vent'anni fa, il 9 novembre 1989 - avrà l'obiettivo di comparare le esperienze dei paesi dell'ex blocco sovietico nel fare i conti col proprio passato sotto il regime. «Non è possibile minimizzare o evitare di occuparsi dei dossier della polizia comunista. Bisogna invece imparare a saper lavorare con questo materiale», ha detto Zacek. Un modo «accademico», insomma, per cercare di fare chiarezza sul passato non solo di un cittadino della ex Cecoslovacchia, ma per (ri)scrivere la storia di un pezzo della letteratura europea (il "particolare" della delazione non è di poco conto per il lettore che prende in mano un romanzo-capolavoro come «Lo scherzo» ad esempio). E forse anche della Storia in generale, quella con la "S" maiuscola, visti i molti misteriosi intrecci fra libri e politica che di tanto in tanto emergono dalle ombre dei Paesi dell'ex Cortina di ferro. È di ieri la notizia secondo la quale Boris Pasternak, autore del celeberrimo «Il dottor Divago», ottenne il premio Nobel nel 1958 su pressioni della Cia. Almeno, è quanto sostiene il giornalista russo Ivan Tolstoi, che ha appena pubblicato a Mosca il libro «Il romanzo riciclato di Pasternak». Secondo Tolstoi, l'uomo della Cia a Stoccolma potrebbe essere stato Dag Hammarskj, membro dell'Accademia svedese e segretario delle Nazioni Unite per due mandati consecutivi a partire dal 1953 fino al 1961, quando morì in un misterioso incidente aereo nello Zambia. «Può essere stato lui, la cosa è plausibile - ha spiegato il giornalista in un'intervista a un quotidiano tedesco - poiché simpatizzava con l'idea di aiutare uno scrittore sottoposto a vessazioni». La Cia avrebbe premuto per l'assegnazione del Nobel a Pasternak per mettere in crisi la sinistra europea, dopo il disgelo politico in Urss seguito alla fine dello stalinismo. «Gli americani volevano assestare uno schiaffo al Cremino - è la tesi di Tolstoi - e mostrare anche alla sinistra europea che tipo di libertà regnava in Urss. Volevano pubblicare assolutamente uno scrittore russo vietato ed avevano pensato a Siniavski, ma non lo conosceva nessuno.

Per questo ripiegarono sul Pasternak».

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