L’abbuffata delle Veltroniadi

Michele Anselmi

«Diciamo che Veltroni colpisce ancora», scandisce Franca Rame, planando sul red carpet, il tappeto rosso, insieme a Dario Fo per il varo della Festa internazionale del cinema. E vai a sapere se nella sua voce c’è un riflesso ironico. Di sicuro ieri sera all’Auditorium romano, convertito in Gran Palazzo del Cinema, il super sindaco che tutto fa e tutto ricrea ha messo a segno la più ambiziosa delle fatiche veltroniane. Qualcosa che ha a che fare con l'egemonia culturale gramsciana, ancorché curiosamente intrecciata a una mitica massima di segno contrario: «La cinematografia è l'arma più forte». Del resto, vedi le coincidenze, non è forse il faccione di Corrado Guzzanti, in fez, manganello, camicia nera e mascellone, a tappezzare i muri della capitale con il suo satirico Fascisti su Marte, sotto uno slogan che evoca il memorabile «O Roma o Orte» di Mino Maccari?
Naturalmente, la Festa ha registrato, per il suo debutto, il tutto esaurito: di attori, ministri, produttori, industriali, banchieri e damazze. Poco importa che si sia partiti di venerdì 13, come recitava il titolo di quel sanguinario horror di serie B americano che figliò ben sette seguiti. C'era da spedire un segnale di grandeur, magari più diessina che ulivista, e quello è arrivato comunque: in un clima fastoso e sfavillante, tra scollature vertiginose (la bombastica Rita Rusic) e sorrisi rassicuranti (il «facilitatore» Francesco Rutelli), tra piccole gaffe (Goffredo Bettini ha ribattezzato Torquemada il film di Pontecorvo Queimada) e qualche inattesa contestazione (un centinaio di senza casa è arrivato quasi alle mani con la polizia lontano dalle telecamere). Mancava solo Prodi, che infatti preferisce il Lido.
A suo modo, però, Venezia può sentirsi tranquilla: l'obiettivo delle Veltroniadi (copyright di Ferrara) non è ridimensionare la Mostra sessantenne, bensì attrezzare, appunto, una novella egemonia in stile Notte Bianca, all'insegna del tutto e di più; al punto che anche una simpatizzante come Natalia Aspesi s'è chiesta se «non sarà eccessivo un evento così rigoglioso e dottamente gaudente, un'ottobrata culturalpopolare di dimensioni faraoniche che ingloba film, musica, cibo, Internet, moda, letteratura, poesia, mercato e circenses».
Poi, certo, Nicole Kidman è stata amabilmente generosa nel darsi in pasto, più o meno come fa George Clooney al Lido, al folto pubblico di curiosi e fotografi sistemato nella cavea dell'Auditorium. Chiusa in un attillato abitino roseo/laminato, tacchi vertiginosi e capelli biondissimi, la star australiana ha stretto mani, firmato autografi, sorriso a vecchi e bambini, rinnovando quella che Veltroni chiamerebbe «la magia del cinema». Ha pure sussurrato alla cronista di RaiSat, prossima al deliquio: «Speravo di poter sposare un italiano, ma non è successo». Come ci piace! Poco prima erano passati sul tappeto rosso due attori americani del calibro di Ellen Burstyn e Martin Landau, ma nessuno (o quasi) se li è filati. I flash erano tutti per Alessia Marcuzzi e Raoul Bova; e intanto la sala Santa Cecilia (1900 posti, 700 dei quali riservati a sponsor e accreditati) si andava riempiendo di celebrità varie, ripartite tra economia, politica e spettacolo: Cecchi Gori, Melandri, Visco, Cipolletta, Abete, Malagò, Salvatores, Buy...
Ettore Scola, chiamato a ricordare Gillo Pontecorvo, è stato molto toccante nel tratteggiare senza retorica il carattere e lo spirito del «regista con gli occhi azzurri e la matita in mano». Per un attimo un palpito di emozione autentica ha attraversato la sala, prima che le luci si spegnessero lasciando di nuovo a Nicole l'esclusiva della serata.
PS.

A inizio cerimonia il produttore-distributore Valerio De Paolis, pur complimentandosi con la Festa, teorizzava: «Cerchiamo di essere competitivi con Toronto». Competitivi? Magari non ricordava che otto dei sedici film in concorso a Roma sono già passati proprio lì.
Michele Anselmi

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