Politica

L’Abu Ghraib de noantri, vergogna italiana

L’Abu Ghraib de noantri, vergogna italiana

Anche noi abbiamo la nostra Abu Ghraib, come vedete nella foto qui sopra: mostra uno dei quattro vigili di Parma arrestati l’altro ieri per il pestaggio del ventiduenne ghanese Emmanuel Bonsu, scambiato la sera del 29 settembre per uno spacciatore, e quindi portato al comando, picchiato, insultato («scimmia», «negro»), sottoposto a ispezioni corporali, infine mostrato come trofeo. Al termine di una notte di torture Emmanuel era stato rilasciato perché non è uno spacciatore, anzi fa il volontario in una comunità antidroga; non ha precedenti penali, studia, i suoi genitori lavorano regolarmente da anni in Italia, suo padre è un operaio, sua mamma una donna delle pulizie.
La Procura di Parma ha lavorato per mesi, ben sapendo della delicatezza dell’inchiesta e delle possibili trappole. I vigili indagati sono dieci, gli arrestati quattro, uno è appunto quello che si è fatto fotografare, a futura memoria, con il pericoloso nemico arrestato al termine di un’intrepida operazione. Una foto che a indagini in corso i vigili s’illudevano di aver cancellato dal computer, e che invece i periti informatici hanno resuscitato, consegnando ai giudici un indizio determinante e alla cronaca un’immagine simbolo così come quella di Abu Ghraib è diventata simbolo della vergogna di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Ma l’Abu Ghraib de noantri è ancora più squallida e vigliacca di quella dei soldati americani e inglesi, i quali almeno erano soldati veri che combattevano una guerra vera contro un esercito vero, ed erano in territorio nemico, con qualche dubbio sulle effettive possibilità di tornare a casa. Gli aguzzini di casa nostra invece non erano in Irak ma a Parma, non circolavano in mezzo ad autobombe ma in una delle città più belle e goderecce d’Italia, torta fritta e culatello, tortelli alle erbette e parmigiano. Non sto dicendo che i torturatori di Abu Ghraib avevano un’attenuante. Sto dicendo che quelli di Parma hanno un’aggravante.
E poi, il razzismo. Proprio perché questo giornale è ben attento a non gridare al razzismo quando non c’è, siamo inflessibili nel denunciarlo quando c’è. Non sembrano esserci dubbi: gli insulti razzisti i vigili li hanno messi perfino per iscritto.
Spesso ci si chiede: ma gli italiani sono razzisti? Credo che non lo siano nel senso di sentirsi un popolo superiore, per il semplice motivo che gli italiani non si sentono un popolo. Non si sentono neppure una nazione, ma l’insieme di tanti campanili le cui particolarità sono ricchezze, ma anche odi e diffidenze meschine. C’è rivalità fra comuni confinanti, a volte fra rione e rione: figuriamoci quando arriva uno che ha pure la pelle scura. Noi italiani siamo capaci di grandi accoglienze e grandi generosità, ma pure di queste miserie, e negarle non giova a nessuno.
E poi molto italiana è la sindrome della divisa, con il suo delirio di onnipotenza. Chi non ha i numeri per entrare nei Nocs può accontentarsi di una paletta bianca e rossa per giocare a Rambo contro un ragazzetto indifeso.

È da questo mix di razzismo di provincia e di frustrazioni che è nata la nostra Abu Ghraib, così piccola da essere più grande di quella vera.

Commenti