Politica

L’addio di Blair re della diplomazia

Culo. Non c’è altro termine più elegante nel lessico diplomatico per descrivere la risoluzione ieri, tanto felice quanto inattesa nei tempi, della crisi degli ostaggi fra il Regno Unito e la Repubblica Islamica d’Iran, per la reputazione del premier britannico uscente, Tony Blair.
E questo malgrado lo schadenfreude di alcune testate straniere, soprattutto europee (e guardacaso quasi tutte di sinistra, e quindi meno indulgenti con le ragioni delle grandi democrazie anglofone rispetto a quelle di regime islamiche e/o repressive del Medio Oriente), che nei giorni scorsi hanno cercato di deridere gli sforzi di Londra (ora perché troppo remissivi, ora troppo aggressivi) per giungere a buon fine.
Trattare con un regime delle mille facce, dei centri di potere confusi e spesso in lotta interna, capeggiato da un tipo come Ahmadinejad, non è impresa facile, persino per qualcuno con il sorriso e la battutina facile come Tony Blair, già stagionato da un decennio al 10 di Downing Street.
Vedere quindici bravi ragazzi in divisa, fra marinai e marines, non solo presi in ostaggio ma obbligati a «chiedere scusa» al «generoso popolo iraniano» in mondovisione dagli aguzzini fuoricampo non è un’esperienza facile, soprattutto quando in patria una larga maggioranza dell’elettorato ha perso fiducia nella tua condotta (e persino nelle intenzioni originali) della guerra in corso da quattro anni in Irak, sarà stato fra i momenti peggiori che ha dovuto affrontare.
Ma per fortuna, la reazione alla crisi in Inghilterra da parte dei partiti politici, dei media e dell’opinione pubblica è stata compatta e realistica, offrendo al premier una buona base per la sua complessa strategia di risposta.
È ancora presto per capire esattamente come le cose si sono svolte fra Teheran e Londra, ma molto è dipeso dal fiuto di Blair nel non insistere troppo con la «diplomazia del megafono» (come avrebbe voluto fare la Casa Bianca), e di aver cercato dei contatti indiretti con la Guida Suprema del Paese, l’Ayatollah Khamenei, attraverso il suo «rappresentante sulla terra», l’abile Ali Larjani. E per questo, Blair ha affidato il delicato compito di interlocutore diretto al suo fido consigliere diplomatico, il 53enne Sir Nigel Sheinwald, che non a caso sarà il prossimo ambasciatore di Sua Maestà britannica a Washington.
Nel frattempo, Blair ha saputo contare sui buoni uffici degli amici ad Ankara, Riad, Amman, e persino Damasco, che sono intervenuti presso le varie autorità iraniane per convincerle che oltre le prime, facili emozioni della cattura, e poi la messa in onda delle «confessioni», il gioco non valeva la candela per Teheran, e bisognava mollare l’osso.
Nessun inciucio, quindi, e soprattutto nessun riscatto (anche politico) pagato: persino gli iraniani sanno che i freddi inglesi non pagano mai i riscatti.
Ahmadinejad ha fatto un grandissimo colpo di teatro con l’intervento televisivo con il «generoso» rilascio degli ostaggi «in tempo per la Pasqua dei Cristiani e il Passover degli Ebrei», ma a modo suo, Blair ne ha fatta una ancora più bella, e probabilmente più duratura.
Oggi (venerdì santo), nel Regno Unito si commemora non solo la Passione del Cristo, ma anche l’ottavo anniversario degli storici Accordi di venerdì santo strappati dalle parti in contesa nella martoriata Irlanda del Nord sempre da Tony Blair nel 1999.
La cultura politica dell’Ulster è complessa e perfida quasi quanto quella dell’Iran, e nonostante la matrice saldamente cristiana ed europea di entrambe le parti in causa, è capace tuttora di esprimere un odio viscerale e sanguigno.
Ma se dopo lo storico incontro qualche settimana fa, fra il «Dottor No», granitico leader degli irriducibili protestanti, il Reverendo Ian Paisley, e Gerry Adams, machiavellico ex-comandante dell’Ira ora sorridente politico, si può finalmente scrivere la parola «fine» alla micidiale disputa interetnica, è tutto grazie alla pazienza stoica e la furbizia politica del premier britannico.
Ed è in parte culo pure questo, se Blair è riuscito, alla vigilia della sua partenza da Downing Street, a raggiungere questo storico risultato, in netto contrasto ai fatui e inesperti tentativi di Zapatero di rabbonire i terroristi dell’Eta.


Infatti quando, fra fine giugno e i primi di luglio, passerà finalmente le chiavi del «Number 10» al suo impaziente successore indicato Gordon Brown, Tony Blair se ne potrà andare con la testa alta. Dopo aver conseguito in un solo mese due grandi successi politici, chi avrà più la faccia tosta di accusarlo di aver fallito?
William Ward

Commenti