L’agenda telefonica di Brenda adesso fa tremare il Palazzo

RomaEra struggente, il tramonto sulla spiaggia tunisina. Aldo Moro soggiornava lì in albergo per ritemprarsi da un travagliato periodo politico e, all’imbrunire, aveva deciso di fare due passi per godersi lo spettacolo selvaggio della natura. Passeggiava, e intanto attingeva briciole di serenità da una Bibbia edizione tascabile. In lontananza, una scia musicale s’innalzava da un falò improvvisato: tamburi Jambè, il Rebab che si pizzica con l’archetto. Il fascino del folclore sedusse l’allora segretario dc, che pensò bene d’avvicinarsi, pur sempre tenendosi a distanza di sicurezza. Giovani tunisini, attorno al fuoco, s’esibivano in danze rituali dal vago, ma sapido sapore erotico. Grande fu la sorpresa di Moro nello scoprire, tra quei virgulti, rapito dalla musica e a torso nudo, uno dei suoi più accreditati (e attempati) antagonisti nella direzione della Balena bianca.
A memoria di democristiano, mai l’episodio divenne oggetto di minaccia politica. Men che meno di ricatto. Oggi trema il Palazzo di fronte alla morte del «trans» più scomodo della capitale corrotta: Brenda dalla corposa rubrica telefonica, nella quale, si dice, tanti erano i nomi «eccellenti». Sembra di ripiombare nelle vicende più oscure della Repubblica. E da manuale è la dichiarazione del governatore pugliese Vendola: «L’uccisione di Brenda è un episodio oscuro che ricorda troppo da vicino i misteri irrisolti di quella fase storica che fu giustamente definita la notte della Repubblica...».
Invece no. La morte del «trans» del caso Marrazzo assurge a giallo dai contorni del tutto moderni, frutto maturo della seconda Repubblica, o sua pietra tombale, se si preferisce. Una vicenda fatta di commistioni inconfessabili tra mondo della politica e quello della trasgressione, cocaina facile e carabinieri corrotti, smarrimenti personali e spudorata megalomania. Totale perdita del confine: non solo tra lecito e illecito, ma persino tra maschile e femminile, tra stelle e stalle, tra desiderio d’onnipotenza e sottomissione degradante. Eppure, da che mondo è mondo, potere e sesso vanno a braccetto e non si può neppure tralasciare troppo il vociare di ogni corridoio «che conti»: quel pissi-pissi che da settimane riferisce del pilota automobilistico in vacanza perenne, dell’idolo degli stadi e della sua excusatio non petita, dell’alto prelato, del ministro non più in carica e di quell’altro, l’«insospettabile». Un porto delle nebbie dal quale il capo dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, è stato l’unico a sapersi tirare fuori con coraggio e tempestività, chiarendo la sua storia di periferia e strada smarrita (con richiesta di informazioni ai «trans»). Gli altri no, e adesso non resta loro che tremare, nell’ombra, sperando di non finire nel tritacarne della maldicenza. Che, stavolta, porta alla dannazione eterna, visto che c’è scappato il secondo morto, addirittura tra le fiamme come in un autodafé.
Ed è naturale che in questi identikit da salotto del «generone», le vittime spesso ignare siano i più alieni dal belmondo corrotto di una capitale infetta. Così tanti sono i nomi di deputati e senatori di origine nordica che, al riparo dagli occhi dei valligiani, farebbero il pieno di trasgressione nella sentina di ogni vizio: quella Roma «ladrona» e oggi soprattutto «lupa», termine che nell’antichità ammiccava al mestiere più antico del mondo. Ma, come si vede, il semplice «lupanare» non basta neppure più allo scandalo, essendosi il confine spostatosi molto più in là, verso un conclamato passaggio di genere: un transgender che, lungi dal designare un cammino di sofferta perdita identitaria, sembra piuttosto irresponsabile nevrosi dei tempi, capace persino di attirare più il cliente che il «prestatore d’opera».

Non Pasolini e lo scenario torbido del suo romanzo postumo Petrolio, dunque, ma una politica fatua che si accontenta di esorcizzare il pericolo dietro l’invettiva del comunista Ferrero: «I mandanti vanno cercati in alto!». Come se finora si fosse fatto altro, come se la morbosa curiosità popolare avesse reclamato altro.

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