L’agghiacciante lettera del papà «Le bambine riposano in pace»

«Le bambine riposano in pace, non hanno sofferto». L’ultimo tassello del puzzle costruito da Matthias Schepp, forse quello finale, è una lettera che non lascia spazio a dubbi sulla sorte delle gemelline.
Il resto sono dettagli. Dove le ha uccise, come, in che luogo ha nascosto i corpi. Minuzie buone per la cronaca, non per chi ha vissuto minuto per minuto questi terribili giorni aspettando e sperando.
Gli inquirenti, anche se il contenuto della lettera venisse confermato, non fermeranno le ricerche, fanno sapere. Innanzitutto perché c’è il dovere di arrivare a una verità piena. Ma anche perché resta un esile filo a cui appendersi. Perché l’ingegnere canadese dal cervello svizzero, mite, educato, quasi rassegnato, ha tessuto un piano diabolico, ha seminato in mezza Europa pezzi di un puzzle che sembra impossibile da ricomporsi, come in un romanzo di Stieg Larsson, quello dove una persona scomparsa da anni e data per morta da tutti, ricompare come per magia. L’ultima speranza dunque è che anche l’ultima traccia lasciata sul suo cammino sia un altro gioco di specchi, un altro depistaggio, magari per coprire il fatto di aver affidato le piccole Livia e Alessia a qualcuno, pur di strapparle alla madre.
«Le bimbe non hanno sofferto». Il tono fastidiosamente compassionevole nella lettera del padre conferma l’ambiguità di Schepp. Padre amorevole o feroce aguzzino? Vero o bugiardo? Uomo disperato o spietato calcolatore anche nell’atto estremo? Quello della morte, della profanazione dei sentimenti e del dolore.
Col passare delle ore e dei giorni si è definito il profilo di un uomo metodico, freddo, calcolatore capace di giocare con la vita altrui. Facendo sparire due bimbe, le sue bimbe, avute da una donna che lo aveva lasciato. Intrigo internazionale, punto di partenza Saint Sulpice, Losanna. Proseguendo poi per Marsiglia, la Corsica, poi Tolone, fino al Salernitano per approdare in quel di Cerignola. Dove si è buttato sotto un treno la sera di giovedì 3.
Nell’epoca del Grande Fratello, che tutto vede e ascolta, l’ingegnere della Philip Morris, con i suoi rassicuranti occhialini da Topo Gigio, ha seminato tutti. Spargendo indizi per un paio di migliaia di chilometri, lasciando tracce, indizi, prove: reperti inutili, per ora. Chissà, forse voleva depistare. Confondere, nascondere la verità.
Così mentre i poliziotti svizzeri smettevano di scavare nelle terre attorno alla sua bella villa, felici di non aver trovato i cadaveri di quelle due gemelline evaporate nel nulla sono spuntati prima un computer, un registratore e poi un cappotto da donna, che ha fatto pensare al ruolo di una complice. E infine la terribile lettera.
Dal computer si è scoperto che si sarebbe soffermato su pagine in cui si parla di suicidio, veleni e armi da fuoco. Insomma, come morire o come uccidere. O entrambe le cose. I dati trovati sul suo pc erano stati cancellati, ci sono voluti gli esperti informatici per ricostruire le «visite».
Da Bastia, contemporaneamente, come a infrangere le speranze, era arrivato il racconto di un testimone, che avrebbe notato Schepp mentre si imbarcava da solo su un traghetto per Tolone. Dettaglio che farebbe pensare all’altra possibile ipotesi: che le abbia uccise in Corsica.
Resta poi da chiarire anche l’ultima sciarada, il cappotto femminile, che non appartiene alla sua ex moglie, rinvenuto nella villa.

Davvero qualcuno, una donna potrebbe aver preso parte al diabolico piano? C’è un altro indizio in mano agli inquirenti. Una donna della zona risulta sparita da qualche giorno. Da qui l’ipotesi che Schepp non fosse solo, che qualcuno l’abbia aiutato nella sua folle missione.

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