da Roma
La spesa pubblica italiana deve essere ridotta nei «grandi comparti», con regole rigide che la mantengano «su tassi di incrementi inferiori al tasso di crescita del Pil».
Il richiamo della Corte dei conti a un maggior rigore è stato avanzato ieri dal relatore Fulvio Balsamo nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato. In caso contrario il rischio di «dover necessariamente rinunciare al progetto di allentare gradualmente la pressione fiscale, il cui anomalo livello non è privo di implicazione negative sullo sviluppo delle attività produttive».
Le parole della magistratura tributaria, tuttavia, potrebbero restare lettera morta. Il miglioramento dei conti pubblici registrato nel 2007 con un rapporto deficit/Pil sceso all1,9% è avvenuto solo grazie allaumento dellimposizione fiscale salita al 43,3% del prodotto interno lordo (42,1% nel 2006). A valle, infatti, si osserva la solita «leggerezza» nella gestione della cosa pubblica: proliferazione di consulenze e di società partecipate dagli enti locali, corruzione e, soprattutto, eccessiva elasticità della legislazione. Le spese correnti, in troppi casi, vengono coperte dalle entrate future come il protocollo sul Welfare siglato dal governo Prodi che avrebbe dovuto ripagarsi con lextragettito presunto, il cosiddetto «tesoretto».
Anche per questo motivo, il presidente della Corte dei conti, Tullio Lazzaro, ha chiesto alle forze politiche un potenziamento dellorgano costituzionale nell«interesse dei cittadini» che la considerano «unistituzione capace di contribuire a dare la speranza, anzi la certezza, di unamministrazione via via più efficiente».
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