Politica

L’allarme degli Usa: Asia impreparata contro il virus dei polli

In Thailandia 13 morti in sette giorni. L’Europa verso il blocco delle importazioni dei volatili vivi

Enza Cusmai

da Milano

Il pappagallo in quarantena morto in Inghilterra di influenza aviaria farà scattare con molta probabilità una nuova drastica misura in Europa. Entro domani la commissione Ue dovrà decidere se imporre un embargo generalizzato di tutti gli uccelli selvatici vivi (anche cocorite e pappagalli) provenienti dal resto del mondo per evitare rischi di contagio. E mentre l’Europa si difende dal virus invisibile a suon i divieti, nel Sudest asiatico si continua a morire. È di ieri la notizia del decesso di un thailandese di 48 anni che aveva contratto il virus killer, diventando la tredicesima vittima dell'H5N1 nel Paese in una sola settimana. Un altro paziente è stato ricoverato con i sintomi del contagio e la situazione da quelle parti sembra fuori controllo. Anche il ministro della Sanità americano, Mike Leavitt, al ritorno da un viaggio di 10 giorni in Thailandia, Cambogia, Indonesia e altri Paesi asiatici a rischio, ha denunciato gravi carenze in fatto di prevenzione. Oggi se ne discuterà nella conferenza internazionale di Ottawa in cui parteciperanno rappresentanti di governo di una trentina di Paesi. Washington ha molti dubbi sulle reali capacità delle forze militari locali di attivare eventuali quarantene. Il dito è puntato soprattutto sulle Forze armate indonesiane, sprovviste di un piano concreto da applicare in caso di emergenza. Senza un isolamento efficace, un eventuale contagio umano arriverebbe in America in pochissimo tempo. Da qui l’esortazione del ministro: «La sorveglianza globale non è adeguata per proteggerci. Dobbiamo lavorare con i Paesi di tutto il mondo e diffondere la convinzione che, se capita in un punto qualunque della Terra, è un rischio per tutti».
Negli Usa cresce la paura. Bush ha chiesto ai propri ministri una valutazione sulla preparazione a una pandemia e ha scoperto una realtà inquietante: il finanziamento federale per ricerche legate all'influenza negli Usa nel 2005 è di 119 milioni di dollari, rispetto ai 10 miliardi, per esempio, della ricerca sul sistema di difesa con missili balistici; le scorte di antivirali attualmente sono sufficienti per poco più di 2 milioni di persone (su una popolazione di 290 milioni); i piani di quarantena ed isolamento dei vari Stati e delle contee, che li dovrebbero attuare, sono datati e pieni di falle.
In America si teme una tragedia umanitaria ben più grande di quella provocata dall’uragano Katrina soprattutto perché il Paese sembra del tutto impreparato a una pandemia umana.
Anche Richard Falkenrath, fino a poco tempo fa consigliere per la sicurezza domestica alla Casa Bianca, si associa ai catastrofisti americani: «La pandemia è attualmente una minaccia più grande del terrorismo. Anzi, a dire il vero è una minaccia più grande di qualsiasi altra con cui io abbia fatto i conti quando lavoravo nel governo».
Le autorità europee sembrano avere nervi più saldi rispetto a quelle americane: meno annunci catastrofici e più fatti concreti. A cominciare dai controlli sui volatili a rischio. Oramai effettuati in ogni parte del continente. Ieri, quattro anatre sono state trovate morte in Svezia e il controllo sulla loro infezione è stata immediata.

Ma gli esami hanno escluso la presenza del ceppo H5N1, bensì di una variante H5 molto meno aggressivo.

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