L’allarme dei medici: "ll turismo sanitario intasa le liste d’attesa"

Gli interventi su pazienti di altre regioni arrivano al 50% L’appello: «Venite per casi gravi, non per normali terapie»

Il turismo sanitario in Lombardia ha numeri importanti. Gli introiti per le cure effettuate sui «pendolari della sanità» si aggirano intorno ai 750 milioni di euro (3,5 miliardi in Italia). In sostanza, i pazienti arrivano da ogni regione d’Italia, soprattutto dal Sud, per farsi operare a un ginocchio, a un’ernia, o semplicemente per un’appendicite. E ovviamente le liste di attesa negli ospedali si allungano.
Da qui l’appello di tanti medici: «Venite a farvi curare in Lombardia solo per i problemi gravi». L’invito è valido anche per le terapie. Ad esempio per la chemio. In tanti, dopo aver scelto un ospedale lombardo per un intervento di chirurgia oncologica, preferiscono seguire le cure qui anziché nell’ospedale sotto casa propria. E si masticano chilometri su chilometri, con tanto di spese di vitto e alloggio, pur di essere seguiti dai medici lombardi. «Eppure - fa notare Ermanno Leo, chirurgo dell’Istituto dei tumori - la chemioterapia è uguale in ogni ospedale d’Italia. Non c’è più il libero arbitrio del medico ma il protocollo è omogeneo per tutti gli ospedali».
Lo stesso discorso vale per la radioterapia: il 10,4% dei pazienti proviene da fuori Lombardia e in alcune strutture si raggiungono picchi del 30%. «Lungi da noi rifiutare i pazienti - precisano i medici - ma per loro sarebbe meglio affrontare certe terapie di cura a casa propria. Gli effetti collaterali sarebbero un po’ più semplici da sopportare e non andrebbero combattuti in una stanza d’albergo o di un residence. Anche perché i cicli sono tanti e durano, a intervalli, anche per sei o sette mesi».
Il messaggio è chiaro: per la chemio o per la radio, venire in Lombardia equivale ad affrontare un viaggio di chilometri per comprare un’aspirina in una farmacia di Milano anziché di Palermo o di Catania. Il prodotto è sempre lo stesso, non cambia di una virgola. Ma di sicuro, stando lontano da casa, per un paziente diventa più complicato affrontare il contraccolpo della cura dopo le flebo, tra nausee, febbre e sensi di spossatezza. «La vera differenza - precisa Leo - la fa l’operazione, non la terapia. Dobbiamo convincere i pazienti che arrivano da fuori Lombardia che si possono tranquillamente appoggiare agli ospedali delle loro città».
La richiesta degli interventi chirurgici oncologici resta alta: in media i turisti della sanità rappresentano il 17% dei pazienti operati e in alcune strutture (istituto nazionale dei Tumori, istituto neurologico Besta e istituto europeo di oncologia) raggiungono picchi del 50-55%. «In tanti - aggiunge Ermanno Leo - si sentono più sicuri ad affrontare le cure nella stessa struttura in cui sono stati operati. Ma, per la stragrande maggioranza dei casi, è solo una questione psicologica».
Il 63% dei pendolari della salute arriva da regioni che non confinano con la Lombardia, in particolar modo dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Calabria. Viceversa, i lombardi che scelgono altre regioni per operarsi sono pochissimi, appena il 3,8% (a fronte di una media nazionale del 7,3%).


Se il flusso di pazienti fosse meno fitto, o se almeno si potessero «dirottare» le operazioni ordinarie più semplici, allora i medici lombardi potrebbero concentrarsi sui casi più delicati, sulla cura dei tumori più seri, sulla ricerca. E le liste di attesa sarebbero minori.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica