Roma - Carlo Giovanardi tiene il punto. E con la presentazione della sua candidatura alla segreteria e la sfida impossibile lanciata a Pier Ferdinando Casini, chiude il cerchio del rito congressuale, regalando alla platea il brivido del voto e della competizione. La leadership dell'ex presidente della Camera, naturalmente, non è in discussione. E quella del dirigente emiliano è una fiammata di antagonismo donchisciottesco e passionale, la testimonianza di una linea saldamente ancorata al centrodestra, alternativa a quella di Casini, che secondo Giovanardi «è da sgridare» per le sue distinzioni sull’opposizione in piazza e quella in Parlamento. Il suo assunto di partenza è chiaro: «Al di fuori di un rapporto di collaborazione e scambio con la Cdl non esiste una prospettiva politica ed elettorale. L'Udc dev’essere un partito autonomo e forte ma deve esserlo all'interno del centrodestra perché il popolo dei moderati che votava Dc ora vota per i partiti della Cdl». Giovanardi se la prende con il disinteresse dimostrato verso i malumori interni al partito, cresciuti fino a produrre una lunga sequenza di scissioni. «Negli ultimi sette anni cinque partiti sono nati dal nostro seno: quelli di Mastella, di Mongello, di Rotondi, di D'Antoni e di Follini. Se un amico non la pensa come noi bisogna tenerlo come un bene prezioso, non farlo fuggire. Senza la mia candidatura il congresso sarebbe stato soltanto un grande talk show. E invece stiamo dando una grande prova di democrazia interna. Io dico che è autolesionista regalare agli avversari ciò che con un po' di pazienza possiamo tenere coeso. Dobbiamo imparare dalla tradizione della Dc. La pazienza nel tessere alleanze è necessaria per poter governare bene il Paese. Non facciamoci del male da soli».
La scossa di Giovanardi si mantiene sempre nei binari del rispetto verso Casini e il suo intervento, dai toni appassionati, strappa applausi e consensi allargati. A margine delle parole ufficiali, però, l’ex ministro dice con chiarezza che la linea di navigazione ondivaga scelta dal leader sta producendo una sensibile erosione del consenso. «E questo rischiamo di pagarlo caro alle prossime amministrative perché il nostro elettorato è sempre più disorientato».
Il resto dei dirigenti si stringe, invece, intorno a Casini. Bruno Tabacci si affida all'autoironia, si autodefinisce un «grillo parlante» e definisce gli applausi a Berlusconi una sorta di «risarcimento». Rocco Buttiglione assegna al leader di Forza Italia «un posto nella storia» ma, poi lo archivia con una punta di malizia: «Silvio, diciamolo chiaramente, è il passato». E poi Mario Baccini che prende la parola per tessere la trama dei futuri scenari di crescita del partito. «Dobbiamo andare oltre l'Udc per fare un grande partito popolare e solo tu puoi traghettarci in questo percorso», dice rivolto a Casini, «il nostro leader indiscusso». «L'alleanza di centrodestra è un valore, come lo è l'alternanza alla sinistra ma non possiamo rinunciare a dare più forza al centro, a renderlo autonomo per realizzare poi un partito popolare di massa». Un partito che deve pensare ad allargarsi partendo dal terreno dei valori.
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