Roberta Corradin è una piemontese che vive e scrive tra New York, Parigi, Roma e la Sicilia, ma solo quella sudorientale per via della presenza lì di un manipolo di geni come il pasticciere Corrado Assenza e lo chef Ciccio Sultano. Sono uomini e come tali non rientrano nellultima sua fatica. Il titolo non lascia dubbi: Le cuoche che volevo diventare. Il sottotitolo lo rafforza: Ventuno grandi donne in cucina (Einaudi, pagg. 128, euro 12,5). Il tutto inseguendo il sogno di trasferirsi presto a Samoa e aprire il suo ristorante, il Ravioli, che fa capolino nellultimo capitolo. Roberta parte da una verità: «La parola chef non ha femminile». E, aggiungiamo noi, non necessariamente sta per cuoco, però è vero quello che scrive una cuoca (cuisinière in francese) tristellata dietro lanonimato (perché poi?): «Lui è uno chef. Io sono una cuoca. Come cuoca, non ti salvano nemmeno tre buone stelle Michelin, cè sempre qualcuno pronto a rinfacciarti di trascurare la famiglia per lhobby della cucina».
Le cuoche della Corradin non necessariamente lavorano in un ristorante. Per diverse è così - e non tutte con il locale pieno - ma altre sono madri di uno chef o non cucinano affatto come da «Barbetta» a New York dove Laura Maioglio ama definirsi «allenatrice di cuochi». E non di chef perché comanda lei. E quella che chiamano Regina nemmeno esiste.
Le Muse in cucina (Excelsior 1881, pagg.
Laltra metà del pianeta golosità
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