Un tempo, in famiglia, lo chiamavano Fernèt e Sgroppin. Era il vino-liquore che i veronesi adoperavano alla fine di un pasto importante, qualcuno ci correggeva il caffè, altri si limitavano a una involontaria meditazione. Rappresentava pure una mezza disgrazia per i contadini, perché nasceva da un Recioto (il vino dolce della Valpolicella, un tempo più prestigioso e costoso) rifermentato, privato del suo residuo zuccherino e, va da sé, del suo valore commerciale. L'Amarone era dunque un vino naturalmente alcolico, abbastanza secco, imperfetto perché frutto dell'empirismo contadino.
Oggi invece la tecnica di produzione è più specifica, l'Amarone della Valpolicella rimane grande e alcolico, ma sempre più vivo, sempre più «vino», sempre più geometrico, inquadrato, enologicamente impeccabile. Forse troppo perché tante versioni sono parodie dell'originale, voluminose ma senza dettaglio, prive di stile. La sua zona, dal 1968 in poi, è rimasta identica, caratterizzata da una serie di valli che scendono parallelamente dai Monti Lessini (Marano, Negrar, Fumane nella zona classica; Valpantena, Marcellise, Saquaranto, Mezzane, Illasi, Tramigna, Alpone in quella allargata), il clima è mite anche se piovoso, i suoli rossi, compatti, calcarei in collina, più grassi e ricchi di detriti nella pianura.
Nell'ultima ricognizione, relativa alla non facile vendemmia del 2003, pochi i vini di caratura superiore: Case Vecie di Brigaldara, 045.7701055, brigaldara@valpolicella.it; Calcarole di Guerrieri Rizzardi, 045. 7210028, guerrieri-rizzardi.it; Ambrosan di Nicolis, 045.
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