Milano - Frida Giannini ha fatto sfilare sulla passerella di Gucci ciò che tutte le donne vorrebbero essere almeno una volta nella vita: una creatura bella ed elegante come le dive di Hollywood negli anni ’40, ma coraggiosa e appassionata come chi sa trasformare la sua storia in un romanzo. Roberto Cavalli aveva la divina Sharon Stone tra gli ospiti in sala, ma in pedana ha mandato lo stesso tipo di femmina: un’eroina capace di rubare il cuore degli uomini anche facendo cose tipicamente maschili come pilotare aeroplani, organizzare safari e cavalcare nel Sahara.
Per la fenomenale ragazza alla guida creativa di Gucci l’icona di riferimento per il prossimo inverno è Lee Miller, modella americana che nella Parigi del Surrealismo fu amante e musa di Man Ray, e in seguito fotoreporter di guerra: l’unica donna a documentare lo sbarco in Normandia e l’arrivo delle truppe alleate nel campo di concentramento di Dachau. Cavalli si è invece ispirato a Beryl Markham, aviatrice e scrittrice inglese che visse nel Nord Africa le sue mirabolanti avventure descritte nell’autobiografia Verso Ovest pubblicata nel 1943. Dunque due delle più belle collezioni viste finora a Milano hanno punti di partenza molto simili: l’invincibile fascino delle donne capaci di affrontare tutto con intrepida volontà tranne la perdita della propria eleganza.
La Giannini ha creato modelli da giorno da perdere la testa: il cappotto in cashmere spinato, le gonne a quattro teli con i bottoni davanti e tutte le pellicce erano quanto di più desiderabile si possa immaginare. C’era per esempio un piccolo paltò nero con un davantino in visone stampato a macchia di leopardo che aveva le classiche spalle importanti degli anni Quaranta con proporzioni radicalmente nuove e una perfetta alchimia tra lusso e praticità. L’apoteosi, comunque, arrivava con i 12 vestiti da sera neri: capolavori sartoriali con drappeggi e nodi sapientemente sottolineati da spille-ricamo piazzate nei punti strategici della seduzione. Perfetti gli accessori: dalle cinture in elastico con un vago sapore militare alle magnifiche scarpe con una zeppa dalla punta metallica passando per i bracciali a polsiera portati in coppia sui guanti. Insomma Gucci rilancia una femminilità sapiente e mai volgare inequivocabilmente creata da una donna dei nostri giorni. L’unico errore di Cavalli è stato invitare una diva come Sharon Stone che ha rischiato di mettere in ombra una collezione meravigliosa: dai pantaloni jodhpur agli abiti lunghi a farfalla, dalle scelte cromatiche (coloniali e naturali per il giorno, le doviziose tinte dell’Egitto Decò per la sera) agli accessori. Come resistere, però, visto che lei, mitica shampista in Bobby, è una formidabile ambasciatrice del glamour intelligente. Sarebbe questa l’unica cosa di cui parlare dopo la fantastica sfilata Emporio Armani: l’intelligenza del creatore che sa sempre capire cosa vuole il pubblico, nel caso specifico l’allure dell’alta moda pensata tanto nelle proporzioni quanto nei prezzi per il vasto pubblico della linea. Invece Armani si scaglia come un leone contro Cathy Horyn, critico di moda del New York Times, a cui rimprovera una recensione che definisce frettolosa e miope della sua ultima sfilata. «Le ho negato l’ingresso all’Emporio» annuncia lui. «Io posso vedere 10 défilé e scrivere di uno solo, 500 gonne e citare l’unico paio di pantaloni» replica a distanza lei. Entrambi sbagliano: la libertà di stampa è sacra, ma il rispetto per una creatività che dà da vivere a 4.900 persone non è meno importante.
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