Politica

L’America si sbronza alla faccia del proibizionismo

Dicono che mentre firmava il ventunesimo emendamento per mettere fine a tredici anni di proibizionismo, Franklin D. Roosevelt abbia detto: «È il momento di farsi una birra». Era il 5 dicembre 1933 e l’America aveva detto basta a quello che era stato definito «l’esperimento nobile», quattro anni dopo il crollo di Wall Street.
Ieri sera, dimentichi dei mass media di tutto il mondo che prevedono altri bui tempi di recessione, negli Stati Uniti molti hanno alzato il bicchiere contro la crisi per festeggiare il 75º anniversario dalla fine del proibizionismo: bar, ristoranti e locali notturni si sono inventati serate a tema e cocktail revanchisti per una celebrazione insolita. A Georgetown, quartiere residenziale super chic di Washington DC per 90 dollari hanno servito cocktail in stile proibizionismo sulle note di un complesso jazz: «Party like it’s 1933», c’era scritto sull’invito. A San Francisco è stata riprodotta la sfilata del 1933: 14 camion portarono in trionfo su Market Street una cassa di gin al sindaco Angelo Rossi. Quel giorno, lo Stato dell’Utah, roccaforte degli ultra pii Mormoni, fu il 36º a ratificare l’emendamento che mise fine a quello che il Wall Street Journal definisce ora «un disastroso esperimento». Nel 1919, nonostante il veto del presidente Woodrow Wilson, era infatti stato adottato il Volstead Act che metteva fine a qualsiasi produzione, distillazione, vendita, importazione di alcol. Nonostante c’è chi sostenga - come Amy Mittelman, della Columbia Univeristy - che il livello di alcolismo nella popolazione diminuì in quegli anni, in pochi negano che il proibizionismo portò a un incremento del crimine, del contrabbando, della corruzione. Il personaggio che impersona un’epoca nell’immaginario comune è senz’altro il gangster Al Capone.
In pochi anni, il Paese si riempì di speakeasy, locali clandestini. In quei tredici anni, produrre whiskey era molto difficile. Fu quindi l’era del gin e dei cocktail, sempre più profumati e colorati per nascondere il reale contenuto.
La situazione, racconta il Philadelphia Inquirer, peggiorò così velocemente che già nel 1923, a soli tre anni dal bando, lo stesso presidente Calvin Coolidge chiese al generale Smedley Darlington Butler - l’ufficiale più decorato dell’Unione in quel momento, una specie di David H. Petraeus dell’epoca - di lasciare i corpo dei Marine per diventare il direttore della sicurezza pubblica di Filadelfia, città nella morsa della corruzione. Fu il terrore di contrabbandieri e gangster, chiuse 900 speakeasy in qualche settimana, mise in cella poliziotti corrotti, prostitute e criminali. Troppo: nel giro di due anni fu costretto a dare le dimissioni.
A 75 anni dalla fine di quell’epoca, gli Stati Uniti si trovano nella peggiore crisi finanziaria da allora e il presidente che sta per prendere le redini del Paese, Barack Obama, è stato paragonato proprio a Roosevelt, l’uomo cui è attribuita la ripresa del Paese dalla Depressione e che firmò appena nominato quel ventunesimo emendamento. Oggi, giornali e politici americani approfittano del 75º anniversario per parlare di limitazioni su fumo, cibi grassi e soprattutto droghe leggere. La Drug Policy Alliance - organizzazione non profit che punta a una legislazione più morbida, chiede alla prossima amministrazione «lo sviluppo di politiche sanitarie responsabili».

John Walter, capo dell’ufficio della Casa Bianca sul controllo delle droghe, replica che «la politica del governo è stata un successo in questi anni» e auspica che Obama «continui sulla stessa linea».

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