L’America è stanca dei fallimenti della Bp: «Ora facciamo da soli»

Dal molo di San Carlos Island, in Florida, David Murray scruta l’orizzonte. E scuote il capo, sconsolato. «Per noi, quella perdita di petrolio che continua a uscire da là sotto, nella profondità del Golfo del Messico, alla fine risulterà più devastante di un uragano». A un uomo di mare come lui, capitano del peschereccio per gamberi Alley Cat, l’annuncio fatto ieri dalla Bp suona come una presa in giro. Perché quei 500 milioni di dollari che il gigante petrolifero britannico ha detto di voler investire per «studiare l’impatto della marea nera» sono per lui una beffa che va ad aggiungersi al danno. Quell’impatto, infatti, è sotto gli occhi di tutti quegli americani che dal Texas alla Florida su quelle acque e di quelle acque vivono.
Se le maledizioni dei pescatori fanno forse fatica ad arrivare fino ai piani alti della multinazionale del greggio, così come a incutervi un qualche timore, ben più minaccioso dev’essere risuonato in quelle stanze il più recente sfogo, esasperato e stizzito, del ministro degli Interni statunitense. «Se ci rendiamo conto che non stanno agendo come dovrebbero agire, li cacceremo come si deve», ha scandito Ken Salazar, volato proprio ieri in zona accompagnato dal ministro della Sicurezza interna, Janet Napolitano, e dal capo dell’Epa (l’agenzia americana per la protezione ambientale), Lisa Jackson.
«Non sono del tutto convinto», ha poi aggiunto Salazar, che la Bp sappia quello che sta facendo. Un dubbio, il suo, forse tardivo. Che alla Bp stiano di fatto brancolando nel buio è del resto qualcosa di più di una sensazione. Ed è la stessa British Petroleum (in caduta libera sia d’immagine sia di quotazione azionaria; il titolo ha perso il 25% del valore di mercato, pari a 50 milioni di dollari) a riconoscere ormai di avere difficoltà nel tentativo di arginare la perdita. I tecnici della compagnia hanno anche ammesso che il tubo inserito nel pozzo sta pescando una quantità di greggio inferiore a quella che riusciva a risucchiare nei giorni scorsi. La compagnia ha provato di tutto: ha calato due campane di metallo di diverse dimensioni. Senza successo. Ora la compagnia ha annunciato che tenterà di ostruire la conduttura da cui esce il petrolio usando un tipo particolare di cemento. Ma l’operazione, programmata inizialmente per domenica, è già stata rinviata.
Con il passare del tempo e l’aumentare dei fallimenti, le critiche da parte dell’opinione pubblica americana si fanno sempre più forti. Le amministrazioni locali degli Stati costieri più colpiti dalla marea nera accusano non soltanto la Bp, ma anche la Casa Bianca. E il governo americano ha iniziato a dare segni di impazienza. Per il responsabile dell’Interno, la compagnia inglese in 33 giorni ha «mancato scadenza dopo scadenza». E le autorità americane potrebbero chiedere presto alla compagnia inglese di risarcire i danni. «La Bp è un pasticcio, un terribile pasticcio, soprattutto dal punto di vista ambientale» ha spiegato il ministro Salazar.
Sotto pressione, la Bp ieri ha dato segni di ottimismo. Il direttore esecutivo, Doug Suttles, ha detto che la nuova tecnica ha una probabilità di riuscita tra il 60 e il 70%. Ma gli americani hanno già perso la pazienza. «Otterremo una risposta dalla Bp», ha detto ieri David Axelrod, consigliere del presidente, parlando ai microfoni della Msnbc. Anche se «sarebbe folle», ha spiegato, non sfruttare l’esperienza dei tecnici britannici. La compagnia inglese subito dopo l’incidente ad aprile aveva fatto sapere che avrebbe ripulito l’area. Gli sforzi senza successo diventano però ogni giorno di più un problema politico.

La Casa Bianca sta facendo di tutto per far capire al pubblico americano che la marea nera non sarà per l’Amministrazione Obama quello che Katrina fu per George W. Bush. La Guardia costiera, però, fa sapere che i chilometri di costa colpiti sono ormai più di 110 e che solo la metà potrà essere ripulita rapidamente.

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