Chi si ricorda lo strepitoso finale di Centanni di solitudine alzi la mano. E chi lha dimenticato, travolto da mille insignificanti scartafacci in voluminosa confezione-regalo, reciti il proprio sconsolato mea culpa. Come si può scordare infatti la gran casa di Macondo squassata dal vento, ridotta dalle piogge a uno scrostato abituro da cui è fuggita la vita... Mentre orde fameliche di formiche rosse, che il tempo e lincuria han gonfiato a immagine e somiglianza di mostri antidiluviani, trascinano al suolo lultimo dei Buendía, informe poltiglia dannata a confondersi con i grumi inerti della terra? Come si può cancellare dalla memoria il grande affresco barocco su cui si accampa Aureliano, lultimo sopravvissuto, che nel delirio di quella casa di morti, decifra i fogli vergati dallo zingaro Melquíades dove lindovino del cosmo ha tracciato la sorte delluomo spalancando una breccia sul tempo avvenire?
Sono le prime riflessioni che affiorano alla mente dopo la lettura di Diatriba damore contro un uomo seduto, lunica opera teatrale di Gabriel García Márquez, datata 1994 ma resa nota solo oggi al pubblico italiano (Mondadori la pubblicherà ai primi di settembre) prima che, dal prossimo ottobre, venga presentata al Quirino di Roma e poi al Piccolo di Milano. Perché lo stupendo monologo di Graciela, sposa sconsolata di un uomo che lha tradita e umiliata, dapprima nella povertà e poi nella ricchezza, è il seguito ideale della parabola di Aureliano. Che, a tanti anni di distanza dalla sua dipartita nel libro iniziatico che racconta la fine di una civiltà contadina, ritorna nella dolente figurazione di una donna. Una vittima della vita che, il giorno delle nozze dargento con lo spietato affarista che se la trascina appresso come un feticcio della perduta rispettabilità, lo degrada a simbolo del male quando, al termine dei festeggiamenti, si ritrova sperduta con lui nellinferno del focolare domestico. Un bunker da cui la vita è assente, a eccezione del dolente assolo di un sassofono che si rifrange di là dai muri dove gli altri continuano ad agitarsi nella frenetica danza dellesistenza.
Ma Graciela, a differenza di Aureliano, è una presenza inurbata. Ha rinnegato le proprie origini plebee, si è strappata dalla bocca e dal cuore il gergo, il sussulto canoro che animava le sue giornate scandite dalla fatica quotidiana. Quegli inni che, sotto forma di melanconica cantilena, esprimono la saggezza degli umili. Evocati da García Márquez nel refrain ricorrente «La Basca lava la vasca, il gobbo si sbafa la sbobba, lindovino si dà al vino». Per seguire il suo uomo uscito dalle classi alte che, con i suoi riccioli dorati da angelo, le ha strappato il primo sorriso quando se nè andato rinnegando la famiglia, si è tramutata in un fantastico animale marino. Una sirena dalla chioma fiammeggiante che, galleggiando nellacqua morta della baia, è andata alla sua ricerca. E, una volta approdata sulla riva, gli si è docilmente sottomessa come una cagna randagia. Ma adesso è venuta la sua ora: e, come le formiche assassine di Centanni di solitudine, Graciela uccide sia pur per metafora il marito.
In scena infatti non vediamo accanto a lei un uomo, ma un manichino con il viso nascosto dietro il giornale che sta leggendo. Come accade nel gran pezzo di teatro da cui lautore prende le mosse, quel Bellindifferente dove Cocteau, accanto a una protagonista che grida tutta la propria disperazione, disegna un maschio con la cicca spenta allangolo della bocca e il basco spiovente sul capo che, esibendole spavaldo un fisico apollineo, la ignora dietro il precario riparo di un quotidiano sportivo. Ma lo scrittore colombiano ha altre frecce al proprio arco. E al suo patetico alter ego affida ben altri compiti. Così, dopo aver evocato nello spirito e nella carne, il fantasma di Aureliano, sotto i nostri occhi Graciela si muta in unEvita Perón esasperata allidea che il suo consorte la trascuri per la minorenne di turno. Da bambina-vittima eccola trasformarsi in matriarca desolata e impotente, costretta a recitare di fronte alla servitù la commedia della felicità coniugale («Di a Gaspar che si proceda come concordato durante la cena di sabato...»). Magari condita di un piccante risvolto erotico («le riviste che vivono di pettegolezzi pubblicheranno che abbiamo passato la giornata festeggiando le nozze dargento a letto»).
Prima dellultima trasformazione quando, con un tocco manierista dalta classe, Gabriel la promuove al rango di medium, tramite inconscio al revival di un passato ancestrale.
Lamore ai tempi del palcoscenico
Il monologo di una donna ribelle contro un marito-fantoccio che non le potrà mai rispondere
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