Comè una buona madre? Ce lo siamo chiesto molte volte, noi madri moderne che viviamo con il perenne senso di colpa e di inadeguatezza, con il mito delle brave e perfette mamme dei tempi che furono e della nostra pochezza di donne sul crinale. Noi che viviamo divise tra casa e lavoro e quando siamo in un luogo sentiamo sempre che dovremmo essere in un altro. A casa pensiamo che dovremmo essere in ufficio. In ufficio pensiamo che a questora dovremmo essere nello spogliatoio della piscina ad asciugare i capelli al pupo. Perché questo fa una buona madre, asciuga i capelli. Sennò che madre è? Da dove ci arriva questo senso di colpa? Atavico, la mamma italiana fa le marmellate e asciuga i capelli.
Quindi è un bel sollievo quando ti arriva sulla scrivania un libro come quello di Concita De Gregorio, Una madre lo sa (Mondadori, pagg. 124, euro 14), sottotitolo: «Tutte le ombre dellamore perfetto». E allora scopri che non sei lunica a pensare che lamore è per sua natura imperfetto. E che esistono mille forme, tutte buone, tutte valide, anche se non sono «perbene» e non sono canoniche.
Concita De Gregorio, che fa la giornalista per Repubblica e ha quattro figli (quattro!), tutto questo lo sa. Seguendo la regola del bravo cronista che va diretto al nocciolo del problema, lo scrive subito nella prima pagina: «Cosa sia una buona madre lo decidono gli altri. Il coro. Lo sguardo che approva e che rimprovera. Quelli che sanno sempre cosa si fa e cosa no. Cosa è giusto, saggio, utile. Quelli che dicono è la natura, è così: devi essere paziente, assecondare i ritmi, provare tenerezza, dedicarti. Se ti senti affondare è perché sei inadeguata. Se soffochi è perché non hai gli strumenti della maturità. Se i figli non vengono devi rassegnarti, non accanirti, non insistere: si vede che non eri fatta per essere madre. Se non li hai voluti devi avere in fondo qualcosa che non va. Se non hai nessuno vicino che voglia farne con te è perché non lhai trovato, sei stata troppo esigente, forse troppo inquieta. Se preferisci il lavoro allora cosa pretendi. Se non ci sei mai che ne sarà di tuo figlio, se gli stai sempre addosso come potrà rendersi autonomo. Se ti stanca sei depressa. Se ti fa impazzire sei un mostro. Sei inadatta, sei contro natura. Colpevole, a pensarci bene. Una cattiva madre».
E allora? Allora il mondo non è sempre perfetto come te lo vogliono vendere. E una donna (anche se non è madre) lo sa. Così le storie che Concita De Gregorio raccoglie nel suo libro parlano di donne che hanno trovato la loro via imperfetta. «Di quante ombre sia pieno lamore perfetto, e di quante risorse inattese. Di quanti modi esistano per accogliere quello che viene, quello che cè. Tanti modi così diversi e tutti senza colpa, alla fine: i modi che ciascuno trova».
Così non ci stupiamo a leggere la storia di Brooke Shields, la figlia perfettissima e bellissima, ricca, famosa che quando diventa madre cade in una depressione cosmica, pensa al suicidio, si macera e si dilania tra quello che gli altri si aspettano da lei (dovrebbe essere la felicità in persona, no?) e quello che invece lei è diventata dopo il parto (una donna disperata). Una lunga depressione da cui è uscita grazie ai farmaci, ostracizzata e messa alla berlina perché ha osato raccontare la sua ombra in un libro autobiografico. E ci commuove la storia meravigliosa e terribile di Molly, che doveva vivere poche ore e invece vive quattordici anni e la madre sa che dovrà comunque morire, ma la ama per quel poco tempo che le sarà concesso. Oppure di Valentina Vezzali, la campionessa di scherma, che dopo quattro mesi dal parto è tornata in pedana e ha vinto. Campionessa del mondo o madre degenere? E poi le madri che lottano per la vita dei loro figli e quelle che invece i figli li uccidono. E le madri a tutti i costi, come Maria Rosaria che è andata a Barcellona in viaggio di nozze con il suo bancomat e quella fredda tesserina le è servita a pagare linseminazione artificiale.
Abbiamo letto troppo Pinocchio e troppo poco Pippi Calzelunghe, la bambina irriducibile e ribelle, che vive da sola ed è felice così. Che sia quella lorigine del nostro senso di colpa? Ma noi non abbiamo né la scimmia né il cavallo a pallini. Né il forziere di dobloni di Pippi. E ci arrabattiamo come possiamo nella nostra imperfezione.
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