La cronaca quotidiana è sempre più densa di fatti e commenti che agitano in definitiva una questione antichissima e sempre attuale: ossia che cosè lonestà e soprattutto quali siano i meccanismi che la devono certificare e garantire come virtus pubblica per eccellenza, precondizione elementare nellassunzione e nel mantenimento di qualsiasi incarico o carica volta al pubblico bene.
La parola magica per eccellenza, slogan prontissimo e direi prêt à porter, pare essere «legalità». Credo non si possa formare un partito per la legalità, con buona pace dellonorevole Fini o dellinquisitore Di Pietro. Non fossaltro perché «popperianamente» nessuno potrebbe sostenere (ragionevolmente e pubblicamente) il contrario. In altre parole, nessuno potrebbe permettersi di sostenere che ci si possa battere per lillegalità e la violazione impunita delle regole dellonesta e civile convivenza. Come nessuno propaganderebbe un movimento di medici «contro la salute».
Proprio questo è il punto: la legalità è una virtù esterna, risultato del controllo e della punizione, ma anche dellesibizione - magari farisaica - di pubbliche virtù, trascurando privatissimi e innominati vizi. Lonestà è qualcosa di intimo, interiore, delicato e quasi impronunciabile. Per chi, essendo onesto davvero, non se ne vanterebbe mai pubblicamente, appunto per prudenza, decoro e discrezione.
Onestà deriva da honor, cioè onore, una qualità eminente di quelle anime, severe con se stesse più che con gli altri, che preferiscono non giudicare per non essere giudicate, come evangelicamente ci è stato insegnato. Forti invece di una vigilanza interiore, spesso simile a un misterioso candore. Nella commedia plautina lingenuo che viene frodato e defraudato per eccesso di onestà, si chiama «ingenuo», proprio perché nato nella gens, cioè nobile e aristocratico di origine. Mentre loste che taglia la gola durante la notte ai suoi avventori per rapinarli, è un plebeo smagato e furbastro. Diventato tale per povertà di spirito, oltre che di nascita. Come diceva Chiara Lubich «non basta essere poveri per essere onesti, se si è arrabbiati e ingordi».
Lonestà è quindi legata a unautenticità profonda delle emozioni e delle motivazioni: va al di là persino del riconoscimento della stessa da parte degli altri. Anzi se viene premiata con la gloria del pubblico riconoscimento perde persino un po di valore. Come ci ricorda levangelista, riconosciuto dagli altri, il bene che facciamo in questo mondo, rende meno sicuro il premio nel regno dei Cieli. Più quindi che limparentamento con la parola «giustizia», spesso abusatissima dagli ingiusti, cè nellonestà il legame con la parola «bellezza» e la parola «amore». È proprio la straordinaria pièce di Pirandello Il piacere dellonestà a ricordarcelo: unopera che dovrebbe esser letta sempre e frequentemente per non confondere il moralismo con la vera purezza delle intenzioni. Forse ricorderete di Angelo Baldovino, uomo mediocre e fallito, che viene fatto sposare per denaro ad Angela, giovane amante incinta del ricco e corrotto Marchese Fabio Colli, già ammogliato. Per coprire lo scandalo il protagonista dovrà fingersi padre e marito integerrimo. Ma si calerà tanto profondamente e intimamente in questa parte da far innamorare la sua compagna di sé, piccolo uomo diventato straordinario, emozionato per «assomigliare agli affreschi dei santi che vedeva nelle chiese». Capace di resistere alle numerose tentazioni di ritornare disonesto che il Marchese, vecchio complice fattosi invidioso, disseminerà di fronte a lui. Un tema ripreso anche nel bellissimo film Il profumo del mosto selvatico dove viene esaltata lautenticità un po eternamente bambina della vera onestà.
Ci spiegano gli esperti di una scienza recente, la «neuroetica», che quando compiamo un gesto o pensiamo qualcosa di buono ma gratuito, come ogni vero atto onesto, si accende nel nostro cervello la stessa zona della preghiera o dellascolto di brani musicali ineffabili, tipo la Nona di Beethoven (ammesso che ci piaccia). Lonestà non è quindi una funzione razionale del comportamento, ma qualcosa che va al di là del calcolo, delle opportunità e del puro raziocinio. Questa è la ragione per cui per difendere lonorabilità, sommo bene, se si è incappati in una vicenda complicata, è meglio perdere ciò che si ha, piuttosto che rimanere abbarbicati a una postazione o a una poltrona. E se si vuol rafforzare la propria immagine virtuosa è meglio sempre dare esempi che far prediche. Quindi bene ha fatto il ministro Scajola a decidere di ritirarsi verso una fase di meditazione e riflessione. Bene farebbe il Presidente della Camera ad acconciarsi ad un uso meno stentoreo e autoreferenziale della parola «legalità». Che, come già si è detto, ha più a che vedere con i misteriosi abissi della coscienza (oltre che con le basi della convivenza umana), piuttosto che con il rilancio un po facile di questa o quella corrente politico-elettorale e di potere.
Ricordandoci sempre che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
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