L’analisi L’ex camerata convertito al credo radicale

Tutta colpa di E.T. se abbiamo perso il nostro leader, dicono adesso i vecchi camerati. Irriconoscibile, un’altra persona, soprattutto un altro politico. Che, con le sue pensate sempre più laiciste, è finito in rotta di collisione con Berlusconi. Ma anche con tutto il centrodestra, con la tradizione del movimento da cui proviene e, in estrema sintesi, con se stesso. Il sé stesso di soli pochi anni fa. Così, ora tocca farsene una ragione. È nato il finismo, nuova ideologia politica, miscela di fascismo e radicalismo, di autoritarismo all’interno e libertarismo in materia sociale e di diritti civili. Gianfry, un nuovo leader democratico, sponsorizzato persino da Scalfari. Ma se appena lo si sfiora, lo si tocca, ecco che sotto la cravatta rosa scatta il muscolo fascista dell’ex delfino di Almirante. La libertà di stampa è dogma assoluto, ma davanti all’inchiesta del Giornale sulla casa di Montecarlo e le scorie della sua famiglia allargata scatta la querela. Il cesarismo di Berlusconi è il male assoluto, ma se i colonnelli pretendono di avere un pensiero, partono i richiami all’«ordine e disciplina».
Cherchez la femme, canta il vecchio adagio. E magari anche il fratello de la femme. L’acronimo del famoso extraterrestre spielberghiano calza alla perfezione per Elisabetta Tulliani (occhio alle iniziali) detta anche Ely. Bionda laureata in giurisprudenza, tacco 12 d’ordinanza, un passato da valletta pentita, 38 anni, da quattro compagna di Gianfranco Fini e madre di due sue figlie. Nelle cronache di mezza estate le fughe ad Ansedonia di Gianfry ed Ely hanno oscurato le scorribande lacustri di Clooney e Canalis, coppia ben più glamour ma altrettanto assortita in fatto di età e curriculum, sempre con una Ely al centro (anche se qui la ripartizione dei ruoli appare più equilibrata).
Ora che gli ha fatto ribaltare amicizie, pantheon culturale di riferimento e look, dagli occhiali alle cravatte, dai bermuda ai completi scuri, avrà capito anche la Terza carica dello Stato che l’ex fiamma di Gaucci non è da sottovalutare. L’extraterrestre è estranea alla storia di An, è estranea al curriculum politico dell’ex delfino di Almirante, è separata da lui da un Ventennio, non solo di età anagrafica. Così, dobbiamo a lei, già simpatizzante di Pannella e Emma Bonino, l’impulso maggiore alla svolta radicale del cofondatore del Pdl, ora leader di Futuro e Libertà, formazione dal futuro incerto. L’altro influente suggeritore è Benedetto Della Vedova, nuovo portavoce del Fini-pensiero. Lui, invece, radicale militante. Confluito nel Pdl e ora nel Fli che vorrebbe agglomerarsi con i cattolici dell’Udc di Casini e dell’Api di Rutelli, Della Vedova è l’ispiratore della nuova linea relativista sul testamento biologico che fa a pugni con il testo di Pdl e Lega in discussione a settembre.
Animato, secondo i più malevoli, da una gran dose di opportunismo, da Fiuggi in poi passando per il rinnegamento di Mussolini «più grande statista del Novecento», lo spegnimento della fiamma nel simbolo del partito, la visita alla comunità ebraica di Gerusalemme, Fini ci ha abituato a repentine conversioni a U. Fa notizia e c’è da lavorare e da scrivere. Chi la prende con meno filosofia sono i suoi seguaci, più affannati che mai a pedinarne gli scarti improvvisi.
Ma da quando nel 2005 annunciò a sorpresa che ai referendum indetti dai radicali avrebbe votato a favore della fecondazione assistita contraddicendo la posizione assunta dall’intero centrodestra, si deve parlare di vera e propria mutazione genetica. Anche allora si malignò che di mezzo c’era une femme: Stefania Prestigiacomo. Smentito il gossip, la ricollocazione politica continuò a galoppare. Favorevole alla cittadinanza agli immigrati (dopo aver firmato la più che restrittiva legge Bossi-Fini), favorevole al matrimonio degli omosessuali (dopo aver detto che erano una scandalo i maestri gay alle elementari), rivalutatore a sorpresa del ’68 («per la destra fu un’occasione persa»), al fianco di Englaro nella sua laicissima campagna per sospendere l’alimentazione di Eluana, accusatore dei presuntissimi silenzi della Chiesa sulle leggi razziali approvate in epoca fascista. Ce n’è abbastanza per giustificare il malumore crescente della vecchia base del suo partito raccontato con dovizia di aneddoti da Enzo Palmesano, già capo del servizio politico del Secolo d’Italia, in Gianfranco Fini. Sfida a Berlusconi (Aliberti editore). «Quando a metà novembre 2007, Ely confermò in un’intervista al settimanale Chi di aspettare una figlia da Fini e parlò per la prima volta del loro rapporto, nel mondo missino furono in tanti a dire che questo spiegava tutto, che Gianfranco aveva “sbroccato”, aveva perso la testa, dava i numeri in politica perché li dava pure nella vita privata». Tre anni dopo la metamorfosi è compiuta. Gianfry è una sorta di Ogm della politica, un radical-fascista, esponente del «tullianismo», intreccio di laicismo, opportunismo, affarismo e arrivismo, non solo politico. Il «tullianismo», chiosa Palmesano «è il precedente necessario e involontario del finismo».
Al nuovo corso radicaleggiante del compagno di E.T., l’anno in occasione del congresso di fondazione del Pdl, arrivò per l’appunto l’investitura di Marco Pannella, il quale sul Secolo d’Italia scrisse che gli interventi di Fini «costituiscono per me l’evento politico, il solo, di questi tempi italiani, la sola novità». Qualche mese dopo, da una visuale opposta, un altro navigatore della politica come Francesco Cossiga affidò al Tempo il suo identikit: «Direi che è un radicale. Intendo dire un radicale del vecchio partito radicale. Un laicista...». Con la nascita obbligata del nuovo raggruppamento, la lunga marcia per accreditarsi presso i poteri forti è finita. Ma il sentiero di sopravvivenza di Futuro e Libertà è più che mai stretto.

Sempre più estraneo al centrodestra, il tullianismo radical-fascista è già in rotta di collisione con le componenti cattoliche del sempre più ipotetico Terzo polo. Il progetto rischia di naufragare ad un passo dal traguardo.
Chissà che cosa escogiterà ora l’extraterrestre.

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