L’analisi Un nuovo ricatto del «Caro Leader» al mondo

di Livio Caputo

Aveva ragione Condi Rice, la Segretaria di Stato di Bush, quando definì la Corea del Nord il Paese più imprevedibile e misterioso del mondo. Il 16 febbraio scorso, in occasione della festa per il 68° compleanno di Kim Jong Il, (gratificato per l'occasione del nuovo appellativo di "Luce senza paragoni") il numero due del regime Kim Yon Nam aveva fatto le dichiarazioni più concilianti da molto tempo a questa parte: è venuto il momento, aveva detto, di mettere fine allo scontro con gli Stati Uniti e di portare avanti il processo di riconciliazione con la Corea del Sud. Invece, neppure sei settimane dopo, una nave nordcoreana ha colato a picco con un siluro, una vedetta sudcoreana nelle stesse acque del Mar Giallo in cui le due marine si erano già affrontate nel 1999, nel 2002 e si erano scambiate colpi di artiglieria ancora in novembre e in gennaio.
In assenza di ulteriori particolari, è impossibile dire se siamo in presenza di un attacco programmato, con precisi intenti politici, o di uno dei tanti incidenti che hanno contrassegnato i rapporti tra le due Coree dopo l'armistizio del 1953 (mai peraltro seguito da una pace formale). L'effetto, comunque, è di rilanciare il problema nordcoreano, che l'amministrazione Obama aveva un po' trascurato per altri dossier, ma che rimane irrisolto. Dopo avere compiuto due esperimenti atomici, nell'ottobre 2006 e nel maggio 2009, e avere completato nell'autunno scorso l'arricchimento del suo stock di plutonio, Pyongyang è infatti diventata a tutti gli effetti una potenza nucleare, sia pure con un numero molto limitato di ordigni a disposizione. Nonostante una durissima risoluzione del Consiglio di Sicurezza, che gli ha inflitto per la prima volta sanzioni mirate e molto incisive, applicate anche da Pechino, il regime ha rinnegato tutti gli impegni presi a suo tempo per il progressivo smantellamento del suo arsenale atomico e la non diffusione della sua tecnologia e - almeno fino all'inatteso pronunciamento di Kim Yon Nam - sembrava risoluto a non riprendere più i negoziati a Sei con Corea del Sud, Stati Uniti, Russia, Cina e Giappone che si trascinano, con alterne fortune e lunghi intervalli, da oltre otto anni.
Più che con il problema nucleare, lo scontro di ieri potrebbe peraltro essere messo in relazione con il deterioramento dei rapporti tra Nord e Sud dopo la lunga fase di collaborazione coincisa con la presidenza di Roo Moo Yun. Questi si era impegnato a fondo per una riconciliazione, facendo a Pyongyang una serie di concessioni, politiche ed economiche, che gli stessi Stati Uniti avevano giudicato eccessive. Ma da quando a Roo è subentrato il conservatore Lee Myung Bak, il clima è ritornato gelido e il flusso di uomini e merci attraverso il confine si è gradualmente ridotto.

Uno dei risultati è stata una nuova carestia nella Corea del Nord, dove, con un quarto del Pil destinato alle spese militari, dieci milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. In questo contesto, non è da escludere che Kim Jong Il, grande maestro del ricatto, abbia deciso di aumentare la tensione per poi chiedere qualcosa in cambio del ritorno alla normalità.

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