L’analisi Obama, duro attacco al credito a difesa del lavoro

Questa volta, la bacchettata sulle banche è arrivata direttamente dalla Casa Bianca. Il motivo? Il solito, più volte raccontato dalle cronache negli ultimi mesi: la riluttanza degli istituti ad allargare i cordoni della borsa alle imprese. Chiamatelo credit crunch, o rarefazione del credito, ma il risultato è sempre lo stesso: le aziende, in particolare le piccole, faticano a ottenere prestiti. A ogni latitudine e longitudine, come se la globalizzazione avesse omogeneizzato i comportamenti.
La crisi ha insegnato alle banche prudenza. È un bene, dopo gli anni scapestrati delle alchimie finanziarie unite al disinvolto impiego della contabilità creativa. Meno buono è l’eccesso di cautela, la diffidenza divenuta pratica generalizzata. Insomma, il venir meno di una delle due funzioni primarie per una banca, ovvero l’erogazione del credito (l’altra è la raccolta di risparmio). Non lo è, soprattutto, da parte di quel mondo strappato dal baratro del fallimento con la robusta corda dei quattrini pubblici.
Le banche italiane, almeno, possono replicare ai rimbrotti di Giulio Tremonti ricordando di non aver beneficiato di alcun aiuto di Stato. «A fine anno - rivendicava l’altro giorno il numero uno dell’Abi, Corrado Faissola - le rettifiche sui crediti potrebbero arrivare a 20 miliardi di euro. Credo che il nostro contributo alla soluzione della crisi lo abbiamo dato». Quelle statunitensi, rianimate dai 700 miliardi di dollari usciti dalle peraltro già provate casse federali, non hanno invece carte da giocare a loro discolpa. Barack Obama ha infatti incollato alle loro vetrate un bel post it: «I contribuenti americani sono stati al fianco delle banche nel corso di questa crisi e adesso tocca alle banche stare al fianco delle piccole imprese e garantire i prestiti di cui esse hanno bisogno per aprirsi, crescere operativamente e creare posti di lavoro».
Il successore di Bush ha inoltre lanciato un messaggio vagamente intimidatorio al mondo del credito, dicendosi pronto a prendere «tutte le misure appropriate» per indurre le banche a concedere prestiti.

C’è da credere che lo farà: negli ultimi 15 anni le piccole imprese hanno garantito la creazione di due terzi dei posti di lavoro negli Stati Uniti. Per un Paese con 14 milioni di persone a spasso e con un tasso di disoccupazione che sfiora ormai il 10%, le imprese minori sono un tesoro troppo prezioso per lasciarne il destino nelle mani delle banche.

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