L’analisi Perché il Senatùr da incendiario ora fa il pompiere

Le cronache di questi giorni ci consegnano un Bossi nell'inedita veste di paciere, di vecchio saggio che si adopera per smussare angoli e acquietare contrapposizioni. Qualcuno attribuisce questa metamorfosi da piromane a pompiere alla pacatezza che porta l'età, altri evocano l'analoga parabola di George Wallace, il governatore dell'Alabama passato da leader segregazionista a paladino dei diritti dei negri.
L'inusitata mansuetudine di Bossi ha due spiegazioni.
La prima è strettamente legata alla situazione del suo Movimento: bisogna sempre ricordare che dietro ogni azione, presa di posizione e sparata del segretario c'è la preoccupazione di gestire i rapporti interni della Lega, che è cambiata rispetto al passato, non solo per le sue posizioni di governo ma anche e soprattutto per la mutazione antropologica del suo elettorato. Oggi esso è composto da quella parte della sua vecchia base che ha accettato alleanze e giravolte, e che resiste nel credere alle promesse di cambiamento istituzionale gestite tramite le cabale e i pastrugni di alleanze e compromessi. Le si è negli ultimi anni affiancato un nuovo tipo di elettori, in larga parte provenienti da destra, che affidano al Carroccio le loro preoccupazioni per la sicurezza e l'immigrazione e che si sentono traditi dalle piroette finiane. Tutti vengono quotidianamente allettati da promesse di cambiamento sufficientemente vaghe per non evidenziare le differenze fra le varie componenti: questo spiega il nuovo linguaggio più pacato, l'accantonamento delle istanze indipendentiste, l'utilizzo di termini e immagini meno evocativi sul piano identitario. In questo clima si inserisce l'atteggiamento bossiano, tutto «casa, chiesa e famiglia», tutto «ci vuole pazienza», «chi va piano, va sano» eccetera.
Dietro di sé non ha più un esercito di fedelissimi pronti a seguirlo in ribaltoni e avvitamenti temerari: gli indipendentisti li ha persi in larga parte per strada, le truppe più ideologicamente motivate si sono stancate di proclami, di penultimatum e di due decenni di lotte e mobilitazioni senza esito. In tutto questo tempo la Lega non ha ottenuto alcun risultato politico apprezzabile e oggi Bossi non può rischiare che un colpo di vento faccia volare via anche le promesse e le illusioni di pur blandissimi obiettivi come il federalismo fiscale o la lotta alla clandestinità. Una parte dei suoi scalpita per gli scandali, la corruzione e l'inettitudine di amici e nemici e lui non può che tenerli buoni con la carota delle riforme future.
In più Bossi è un uomo provato e solo: si è circondato di gregari ubbidienti e si è liberato di tutti quelli che non mostravano sufficiente deferenza ma che erano in grado di fornirgli idee, stimoli e consigli. Per tutto questo non può che essere fedelissimo a Berlusconi e sperare che la gratitudine per il suo appoggio gli procuri quei risultati minimi che tranquillizzino i suoi. Non è la Lega che condiziona il Pdl.
Il pompierismo trova giustificazione anche nella più generale situazione politica.
Non sono più chiari i confini degli schieramenti politici: oggi destra e sinistra si amalgamano in una indistinta melassa in cui si confondono le posizioni. Entrambe contengono al proprio interno liberisti e statalisti, federalisti e centralisti.
Le discussioni sulle tasse, sul posto fisso, sulle competenze regionali sono uno specchio di questa situazione. Quasi tutti si dicono per il mercato e per le autonomie ma poi si rivelano campioni di socialismo reale e dirigismo giacobino. È una rissa in cui si confondono le casacche: Di Pietro è di sinistra, Fini è di destra o di sinistra?
La gente è confusa, le scelte di parte somigliano sempre più all'appartenenza alle tifoserie calcistiche, si basano su simpatie (e, soprattutto, antipatie) personali, su etichette consunte, sull'abitudine.
È chiaro che in una situazione del genere una vecchia volpe come Bossi abbia tutta la convenienza a cercare una navigazione tranquilla. In altri tempi avrebbe rovesciato il tavolo chiedendo una chiara presa di posizione: non più fra destra e sinistra che non significano niente, ma fra Stato e mercato, fra autonomismo e centralismo, avrebbe ritirato fuori la bandiera dell'indipendenza che oggi potrebbe essere accettata anche da gente un tempo insospettabile.
Non può farlo, perché senza i mezzi di Berlusconi non va da nessuna parte, perché il suo movimento non è più la macchina celtica da guerra, un po' folclorica ma efficiente degli anni passati, perché i suoi si sono incistati su sgabelli e cadreghe, e difficilmente le lascerebbero per le barricate.

Dio solo sa quanto ci vorrebbe un Bossi che butta all'aria le carte, che segna a terra una riga col gesso: di qui i buoni (liberisti e federalisti), di là i cattivi (statalisti e centralisti), e si ricomincia da capo! Lui non può più farlo. Qualcuno ha voglia di prendere in mano il gesso?

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