L’analisi Quel rapporto così controverso tra le banche e Torino

A partire dal 2002 e lungo il 2003 la Fiat visse una crisi per certi versi più grave di quella in atto. Più grave perché riguardava solo Torino, dipendeva quindi da fattori interni (finanziari e produttivi) non da trend generali. Naturalmente, che le difficoltà di oggi derivino da mercati dell’auto universalmente depressi, se conforta da un punto di vista «morale», rende la situazione anche più complessa.
Anche ai tempi della grande crisi di allora c’era un governo Berlusconi che fu pressato per aiuti. Anche allora nel centrodestra non mancarono resistenze infastidite dal ruolo invasivo svolto a lungo dalla Fiat nella società italiana. Anche allora, fondamentale per avviare l’uscita dalla crisi fu, nel settembre del 2002, un finanziamento denominato «convertendo», un acquisto di azioni riscattabili, di un pool di banche (in prima fila Intesa, Capitalia, Sanpaolo Imi e Unicredit) dell’importo di 3 miliardi di euro. Vi furono poi vicende un po’ rocambolesche per mantenere la supremazia dell’accomandita della famiglia Agnelli sul gruppo (il famoso equity swap Ifil-Exor del 2004 poi finito in tribunale). E vi fu, infine, il lieto fine, perché grazie a Sergio Marchionne le banche che avevano investito nel salvataggio, ne uscirono con buone plusvalenze. C’è, rispetto al 2002, un elemento del tutto differente. Allora le banche interessate, guidate da un superattivo governatore Antonio Fazio, si mossero con sentimenti di ostilità verso Giulio Tremonti, anche in quegli anni ministro dell’Economia. Diversi erano i fronti di scontro: dalle regole per le fondazioni bancarie a quelle per la Banca d’Italia. Le banche guidate da Fazio mentre salvavano Fiat, contribuirono a formare una fronte politico-confindustriale decisivo per ribaltare la linea riformista di Antonio D’Amato in viale dell’Astronomia, per portare alla presidenza Luca Cordero di Montezemolo, preparando così le dimissioni di Tremonti nel luglio 2004. Oggi lo scenario è completamente mutato. Le grandi banche guardano al ministero dell’Economia come l’elemento centrale per il salvataggio.
Al di là della schermaglia sul costo dei bond del Tesoro per la capitalizzazione delle banche, ne è apprezzata la strategia non invasiva. Mentre nel 2002 il «convertendo» voleva anche isolare Tremonti, oggi è ispirato dalla volontà di aiutare un esecutivo che non può mettere troppe risorse sull’auto. E anche la linea Marchionne, che per primo ha lanciato l’idea di un nuovo convertendo e che gestisce la crisi non alla vecchia maniera politicista-protezionista ma aprendosi all’estero, non si scontra con le posizioni governative, al di là delle naturali manovre lobbistiche.

Che cosa è successo? Tremonti è diventato più abile politicamente? Una chiusura di fondo del potere economico-finanziario è saltata? Vi è una nuova dialettica? La durezza della crisi, particolarmente del sistema bancario, spinge a fare sistema? C’è (un po’) di tutto questo. Il che (un po’) conforta.

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