L’anima nascosta di Saviano il giovane

Oltre alla camorra ci sono jazz, calcio e ironia. Lo scrittore a teatro e in tivù rivela aspetti che ne fanno un autore completo. E un ragazzo curioso che non merita di essere congelato per sempre nello stesso ruolo

L’anima nascosta di Saviano il giovane

In realtà Roberto Saviano sono due. Due scrittori diversi nella stessa persona, nello stesso ragazzo trentenne, troppo noto e troppo popolare per la sua età. Due scrittori diversi, uno dominante e il secondo minoritario, però forse più semplice e originale allo stesso tempo. Così, la persona Roberto Saviano, quando si accinge a scrivere o ad andare in televisione si trova spesso davanti a un bivio e deve scegliere, di volta in volta, quale strada imboccare. Quella dello scrittore di denuncia. O quella dello scrittore giovane e curioso. Quella del professionista dell’anticamorra. O quella della promessa letteraria. E non è detto che le due strade siano incompatibili nella stessa persona. Possono convivere, completarsi, arricchirsi a vicenda. Anche se l’equilibrio, la giusta miscela è una meta, più che un punto di partenza. Solo che, quando si dedica alla parola, alla scrittura, al racconto anche per immagini, Saviano sceglie quasi sempre di dare la precedenza alla denuncia.

Del resto Gomorra, oltre a una vita blindata, per la quale spesso ha confessato di essersi pentito di averlo scritto, lo ha costretto a una missione. A un compito dal quale non può recedere, anche per una semplice questione di sopravvivenza. Finché sarà al centro della denuncia, con i riflettori addosso, finché lui rimarrà un simbolo, sarà difficile colpirlo, perché la reazione contro i sistemi criminali sarebbe unanime, diffusa, spietata. Ma Saviano scrive e va in televisione a parlar di camorra per mantenere una «luce costante» sui clan mafiosi.

Come conferma, ora, anche l’uscita di La parola contro la camorra, il cofanetto Einaudi composto dal dvd della puntata monografica di Che tempo che fa e dal libro contenente gli interventi di Walter Siti, Aldo Grasso, Paolo Fabbri, Benedetta Tobagi. Un’opera che doveva contenere anche l’introduzione di Vincenzo Consolo, prima che lo scrittore siciliano decidesse di ritirarsi sdegnosamente dopo aver letto nell’intervista concessa a Pietrangelo Buttafuoco per Panorama che tra i suoi autori di gioventù ci sono anche Céline e Carl Schmitt. Irriducibile agli steccati ideologici, al bipolarismo culturale imperante, ai sacerdoti dell’ortodossia, potenzialmente trasversale e anarcoide, allo stesso modo Saviano risulta scomodo per i sistemi di potere delle cosche. «Ciò che più temono le organizzazioni criminali - scrive nel suo saggio intitolato Una luce costante - non è soltanto la luce continua che gli viene posta addosso, ma soprattutto che migliaia, forse milioni di persone in Italia e nel mondo, possano sentire le loro vicende e il loro destino come qualcosa che riguarda tutti». Il merito di Saviano è stato catapultare all’attenzione generale la fenomenologia criminale camorristica che fino a prima veniva coperta dall’indifferenza o relegata nelle brevi di cronaca. Lo sostiene anche Walter Siti nel suo breve saggio: «La qualità letteraria di Saviano si misura sulla capacità di tenere aperta la meraviglia squadernando la cronaca». E lui si attribuì una missione, appunto. «Se avessi la possibilità e la libertà - scrive ancora - andrei porta a porta a parlare alle persone, cercherei di convincerle a leggere ciò che scrivo, dai ragazzini alle persone anziane. Senza vergognarmi. Sogno di vendere sempre più copie, ovunque nel mondo (...) perché io ho un’ambizione ben più grande di quella di piazzare un po’ di copie e di avere qualche buona recensione. Il sogno è che magari queste mie parole, condividendole, possano davvero diventare uno strumento...». Quella possibilità e quella libertà, l’autore di Gomorra non ce l’ha più, costretto nei binari del piazzista dell’onestà, del professionista dell’anticamorra: una vita blindata, una vita venduta. Come la racconterà il 21 aprile su Current: «Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia». Invece, lamenta di non poter nemmeno fare il bagno in mare o mangiare un gelato per strada perché «se magari ti scattano una foto - gli hanno suggerito - poi dalle tue parti qualcuno potrà dire guardate come se la spassa lo scrittore protetto mentre noi contribuenti gli paghiamo la scorta».

Insomma, il professionista dell’anticamorra che ha messo al primo posto la denuncia e l’onestà e per questo conduce una vita costellata di rinunce, da cinquantenne, ora vorrebbe riprendersi la sua età, lo spazio della curiosità, la semplicità dello scrittore giovane che impara dai grandi della letteratura, del cinema, dell’arte. E vorrebbe rimettere l’estetica prima dell’etica. Il Saviano considerato minore scalpita sotto la scorza un po’ integralista della missione antimafia. Un integralismo etico che a volte rischia di avvicinare la camorra al libero mercato, il criminale all’imprenditore, con l’unica differenza che quest’ultimo non usa la mitraglietta.

Nel suo monologo teatrale tratto da La bellezza e l'inferno scopri uno scrittore trentenne che ride e sorride narrando il miracolo di Michel Petrucciani, primo jazzista europeo a conquistare l’America pur vivendo in un corpo afflitto da handicap e malattie. Oppure la forza narrativa di Varlam Salamov che con i suoi Racconti di Kolima ti trasporta dentro il lager. O la testimonianza di Ken Saro-Wiwa, lo scrittore nigeriano ammazzato dalle mafie del petrolio. O la storia delle due ragazze iraniane uccise dagli emissari di Ahmadinejad perché manifestavano contro il regime. Sono racconti che portano al centro dell’attenzione e ti rendono vicine storie lontane. Un po’ com’è accaduto per quelle brevi di cronaca in cui si racchiudevano le vendette e le mattanze di camorra, ora patrimonio di tanti se non di tutti. Saviano parla in tutti e due i casi di «strumento letterario», non di «arte letteraria» o di «espressione letteraria» come farebbe la maggior parte dei critici e dei recensori. Insomma, la sua è una scrittura civile. Ma nel Saviano minore il procedimento è rovesciato: si parte dall’estetica per arrivare all’etica e non il contrario. Si cerca la libertà di mangiare un gelato per strada. Però è un percorso in salita. Se vai in libreria, anche allo store della Mondadori - che è pure la sua casa editrice - e chiedi La bellezza e l’inferno ti rispondono che lo trovi «nello scaffale della mafia». Della mafia? «Gli scaffali non li faccio io, lo trova lì».

Già: l’etichetta ormai è quella. E riprendersi la vita da trentenne sarà dura.

Soprattutto se non ricorderà la lezione di Dostoevskij: «È la bellezza che salverà il mondo». Ma è il Saviano giovane, il Saviano minore che mette al primo posto la curiosità e lo stupore per la bellezza che potrà dare forza e rianimare il Saviano etico e di denuncia.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica