Diventata un personaggio, Giulia Bongiorno ha saputo adeguarsi. Ha perso quell’aria da secchiona un po' trascurata dei debutti. Ai tempi in cui difendeva Giulio Andreotti, sia che apparisse in tv gioiosa per un’assoluzione o abbacchiata per una condanna, aveva comunque l’aria scarruffata di un pulcino bagnato. Con gli occhialini sbilenchi e i vestiti mal assortiti pareva una maestrina di campagna scaraventata dal letto all’alba per arrivare puntuale a scuola.
Oggi è invece un elegante pezzo da novanta, graziosamente avvolta nel pantatailleur d’ordinanza del gentil sesso in carriera. Così, l’abbiamo vista 48 ore fa sui teleschermi presentare assieme a Michelle Hunziker la loro fondazione benefica «Doppia Difesa» contro la violenza sulle donne da parte di maschiacci energumenici. Un’iniziativa benvenuta che si inquadra anche nell’elevato ruolo pubblico che l’avvocatessa ricopre da quando è entrata in politica nel 2006.
Tutto è cominciato nel momento in cui si sbriciolò il matrimonio di Gianfranco Fini. Volendo separarsi con determinazione ed eleganza, l’allora leader di An si è rivolto alla Bongiorno che già godeva in Parlamento di larghissima fama. Il Divo Giulio ne aveva infatti disseminato le lodi tra i colleghi. Durante la delicata procedura di scioglimento dell’unione ventennale, Bongiorno e Fini si sono reciprocamente stimati ed è maturata la candidatura dell’avvocatessa alle elezioni politiche 2006.
Fino ad allora, Giulia - che aveva già 40 anni, essendo nata a Palermo nel 1966 - non aveva mai neppure votato. Appassionata di Pandette, basket, jogging e palestra si era disinteressata di politica, tanto da non distinguere la sinistra dalla destra. «Tra Prodi e Berlusconi non vedo differenze», aveva detto in un’intervista appena un anno prima. Titubante alla proposta di Fini, si consultò con Andreotti che considera alla stregua di un tenero nonno. Il Divo ci pensò un po' su, poi dette l’assenso.
Accettata la candidatura, Fini la presentò alla stampa con apposita conferenza. Giulia arrivò meno elegante di quanto non sia oggi, ma in via di miglioramento poiché aveva già incaricato la mamma di comprarle a Palermo i vestiti che lei - per sua ammissione - non sa scegliere non avendone né il gusto né la pazienza. Ai giornalisti disse che aveva ricevuto avances anche da sinistra ma che sceglieva la destra per il particolare rapporto con Fini. Di lui - spiegò - aveva apprezzato il favore per le quote rosa. Soprattutto però la «posizione coraggiosa e indipendente» sulla fecondazione assistita più laica e aperta di quella del centrodestra. Alla stampa non sfuggì che con questa dichiarazione Giulia si collocava tra «i cattolici adulti» di prodiana memoria. Tutti sapevano infatti che la giovane donna aveva più volte detto di essere «cattolica praticante e, anzi, di entrare in chiesa tutti i giorni». Poiché però, sulla fecondazione, era più in sintonia con Fini che col cardinale Ruini, andava considerata a tutti gli effetti una libera interprete dei dettami della Chiesa. Una cattolica adulta, appunto. Aggiunse che non voleva «crociate contro i magistrati ma essere ponte tra politica e toghe» e concluse: «Sono garantista, non perdonista». Quando finalmente tacque, Fini proclamò: «La candidatura dell’avvocato Bongiorno onora An».
Nella prima legislatura, di rodaggio, Giulia non lasciò grandi impronte. Rieletta nel 2008, ha invece assunto la presidenza della Commissione Giustizia. Contestualmente, è diventata la massima consulente dell’attuale presidente della Camera nei rapporti con l’ordine giudiziario. Diciamo che Bongiorno fa il quadro e le decisioni le prende Fini. Lei mette la pulce nell’orecchio sulle iniziative del Cav e del suo braccio destro in materia, l’allampanato avvocato padovano, Niccolò Ghedini. Fini ingigantisce le preoccupazioni e ne prende spunto per i proverbiali no che mandano in bestia il premier. Si fanno, insomma, da sponda. Giulia con un ruolo puramente tecnico, Gianfranco con mire politiche che vanno dall’azzoppamento del Cav, all’acquisto di benemerenze a sinistra per più alti traguardi.
Bongiorno va alla Camera il minimo indispensabile poiché dedica alla professione la maggiore parte del tempo. Nello studio di Piazza in Lucina - lo stesso che fu di Andreotti e che il «nonno» le ha ceduto per gratitudine - fanno la fila legioni di imputati illustri. È, o è stata, difensore dei calciatori Totti (sputo in campo a Poulsen) e Bettarini, di Vittorio Emanuele, di Raffaele Sollecito il giovanotto accusato dell’uccisione a Perugia della studentessa inglese Meredith Kercher. Ha assistito la Hunziker in una causa contro un tizio che la perseguitava. Per Fini ha querelato un mese fa Vittorio Feltri. Per conto del gip Clementina Forleo ha fatto lo stesso con i parlamentari Calderoli, Borghezio, Cicchitto e Gasparri che se l’erano presa con lei per il rilascio di pericolosi islamici. Le due si sono scoperte anime gemelle. Giulia è andata alle nozze di Clementina che le ha preparato un menu speciale di mozzarelle e pomodori. L’avvocatessa è infatti allergica alla pasta e ai cereali in genere essendo celiaca. Patologia contratta per il trauma subito il giorno in cui Andreotti fu condannato a 24 anni, in primo grado, per l’omicidio Pecorelli. La malattia, purtroppo, non è regredita neanche con la successiva assoluzione che, come molti ricorderanno, fu accolta da Giulia con il famoso «E vai!» seguito dal triplice urlo, «Assolto, assolto, assolto», rilanciato dalle tv di tutto il mondo.
Bongiorno non si vede mai in Aula. La sola attività parlamentare che svolge è la presidenza della commissione. Arriva trafelata, intabarrata nel cappotto. A cose fatte, lo rimette e fugge via. Se un deputato vuole parlarle deve affiancarla correndo. Durante la seduta, usa il campanello - in disuso da decenni - per imporre il silenzio a chi interviene fuori dal suo turno. Il solo che lascia fare, essendo irrefrenabile, è Di Pietro che interferisce disordinatamente com’è nella sua natura. Prima dell’inizio, raccomanda di mettere il silenziatore ai cellulari. Se sente uno squillo incenerisce con lo sguardo il dimentichino. Ghedini fa il possibile per rabbonirla con tutte le politesse venete di cui è capace. Le ha anche regalato un telefonino. Ma Giulia lo ricambia con diffidenza siciliana aspettandosi che voglia infinocchiarla con proposte pro Cav a lei sgradite. Sulla legge per frenare le intercettazioni ha preteso tre volte modifiche di accordi già raggiunti nel centrodestra. Spesso si autonomina relatrice di provvedimenti delicati su donne (stalking ed estensione del cognome materno ai figli), usura, mafia e altre materie che le stanno a cuore.
La mattina, prima del sorgere del sole, si conceda una pausa a tanto stakanovismo e fa jogging in Villa Borghese partendo in tuta dalla sua casa nei pressi del Senato. Torna, fa la doccia, indossa giacca e pantaloni - nessuno l’ha mai vista in gonna - e si rituffa nella sua attività avvocatesca prendendo treni e aerei per i tribunali della penisola. Nel 2006, da notizie di stampa, ha denunciato un reddito di un milione e 618mila euro.
Giulia è figlia d’arte. Il padre, Girolamo, è docente di Procedura civile alla Sapienza dagli anni '90. Prima insegnava all’ateneo di Palermo dove il suo trasferimento a Roma è stato salutato con giubilo dagli studenti terrorizzati dalla sua severità. A Palermo, tuttavia, papà Girolamo ha ancora un avviato studio civilistico presidiato da Roberta, l’altra figlia.
Col bel risultato che il Cav ha una gatta in più da pelare in casa sua.
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