L’antifascismo durante il fascismo? «Ci sputasse vossia»

Carissimo dottor Granzotto, come c’era da aspettarsi, anche il centocinquantenario dell’unità d’Italia è preso a pretesto per le solite tirate sull’antifascismo. Mi chiedo se non fosse opportuno cogliere l’occasione per riscrivere correttamente, oltre che il Risorgimento, anche l’antifascismo. Cominciando col rispondere a questa domanda: prima del 25 luglio 1943 e cioè per tutti i ventuno anni di regime, esisteva, operava in Italia un movimento antifascista?
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La risposta è facile, caro Di Giacomo: no. Casi isolati, qualcuno (praticato per lo più da fuoriusciti, a Parigi e in Isvizzera), ma prima della caduta di Mussolini un attivo e organico movimento antifascista nel Paese, no, non ce n’era traccia. A meno di non considerare antifascismo la fronda, il mugugno, i sospiri degli intellettuali che periodicamente si riunivano, per ironizzare su Starace e sulle ridondanze del regime, nella celebre terza saletta del Caffè Aragno di Roma (quella in fondo in fondo, la più discreta e riservata, perché non si sa mai; il nemico ti ascolta). O quel prudente e circoscritto sentimento protestatario, diciamo un antifascismo domestico, da tinello di casa, dettato dall’insofferenza piuttosto che da ragioni politico-ideologiche. Nel suo gustosissimo Occhio di capra il migliore Sciascia ne racconta un caso, che le trascrivo, caro Di Giacomo, perché ne vale proprio la pena: durante il bieco Ventennio, ai seggi elettorali i componenti «consegnavano al votante la scheda su cui, teoricamente, il votante era libero di scrivere “sì” oppure “no”; ma di fatto le schede venivano consegnate con il “sì” già scritto per cui al votante altro non restava che leccare la parte gommata della scheda, chiuderla e imbucarla nell’urna». Accorgendosi un certo Salvatore Provenzano «che già era stato scritto un “sì” dove lui aveva intenzione di scrivere un “no”, si rifiutò di toccare la scheda». «Ci sputasse vossia», disse: «che la leccasse, chiudesse e imbucasse il presidente del seggio. Naturalmente fu arrestato: perché sarebbe già stato offensivo dire al presidente di leccare la parte gommata della scheda, chiuderla e metterla nell’urna; ma dirgli “ci sputi” era dimostrazione di assoluto disprezzo per il regime fascista. Provenzano è morto una decina d’anni addietro (Occhio di capra è del 1990, ndr). Era un uomo alto, asciutto, la faccia cotta dal sole. Vestiva sempre con giacca di velluto a coste, pantaloni da cavallante, gambali di cuoio.

Viveva del reddito di una sua piccola campagna. Caduto il fascismo non rivendicò mai il merito di essere stato antifascista». «Ci sputasse vossia», conclude Leonardo Sciascia, divenne espressione proverbiale e forse, nella campagne di Racalmuto lo è ancora.

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