L’appartamento dei misteri che faceva gola a tutta Monaco

nostro inviato a Montecarlo

L’appartamento dei misteri è in Boulevard Princesse Charlotte, dirimpetto il Novotel, dieci minuti in salita dal casinò di Montecarlo. È qui che dal 2001 succedono strane cose, difficili da raccontare per esteso per la chiusura a riccio delle istituzioni monegasche, di enti pubblici e privati, di notai, avvocati, architetti, costruttori, agenti immobiliari, burocrati vari, tutti restii a rilasciare la benché minima informazione. Nel Principato non si può accedere al catasto, non è possibile ottenere notizie sulle attività dei proprietari delle case, figurarsi su quelle degli affittuari, sulle compravendite, sulle società anonime.
Il segreto fa la fortuna di questo posto. E c’è un controllo capillare, invisibile, su tutto e su tutti. Se ti azzardi a chiedere lumi al diretto interessato, come capitato a noi del Giornale che siamo andati a suonare al campanello del «cognato» di Fini, ecco piombarti addosso la polizia a tutela del residente eccellente. Eppure a forza di chiedere in giro sull’appartamento della contessa Anna Maria Colleoni, ereditato sul finire del 1999 da Alleanza nazionale, eppoi finito proprio a Giancarlo Tulliani, «cognato» dell’ex presidente di quello stesso partito, sono usciti dettagli inquietanti. Questi: fra il 2000 e il 2001 alcuni esponenti di Alleanza nazionale arrivati da Roma si materializzano a Montecarlo nell’elegante palazzina in giallo ocra per prendere visione, e possesso, dell’immobile lasciato in eredità dalla contessa Colleoni. Per avere delucidazioni sulla situazione dello stabile si affidano ai vicini e in un secondo momento al più grosso amministratore di condomini di Monaco, il dottor Michel Dotta, persona cortese nei modi ma ovviamente in linea con le disposizioni vigenti sulle riservatezza dei dati («non posso dire nulla – spiega al Giornale – amministro tantissimi condomini, fate una domanda e vediamo se sarà possibile rispondervi»).
I vicini di casa raccontano che una mattina del 2000, una serie di persone del partito, tra cui Donato Lamorte, accompagnati anche da gente di An venuta da Imperia, iniziano a chiedere nel palazzo informazioni sulle ditte locali, sulla situazione immobiliare del posto, sulla disponibilità a trattare una eventuale compravendita o un affitto. Già, perché più di un inquilino di quello stabile guardava con favore a quell’appartamento che per parecchio tempo era rimasto vuoto, inutilizzato. «Abbiamo ricevuto una eredità da una contessa simpatizzante di An deceduta da poco – spiegarono i referenti romani di An - e tra i beni donati al partito c’era anche questo appartamento. Volevamo sapere un po’ come funziona qua. Adesso affideremo l’appartamento a Dotta, che è il syndic del palazzo, quindi faremo dei lavori. E poi sicuramente venderemo». Altri inquilini raccontano che i referenti romani del partito andarono due o tre volte in un paio di immobili del palazzo, dove gli occupanti facevano presente la loro disponibilità a trattare sull’acquisto e in subordine l’affitto. Di lì a poco sul Corriere della Sera il senatore Pontone rivelerà i dettagli dell’eredità ricevuta dalla contessa Colleoni per un valore complessivo di oltre due miliardi di lire (incluso l’appartamento di Montecarlo) «che permetterà al partito di Alleanza nazionale di andare in attivo, con un avanzo di 2,4 miliardi».
«Questi incontri nel palazzo – racconta un condòmino – avvenivano una decina di anni fa». A seguito di quei faccia a faccia c’è chi scrisse più lettere al partito a Roma rinnovando l’interesse all’immobile disabitato. Qualcun altro si portò avanti col lavoro proponendo anche cifre importanti, superiori a quelle sui 10mila euro al metro quadro proposte in quel periodo, più alte del fitto da 1.800 euro al mese che si sborsa proprio lì per un monolocale di 28metri quadri. Altri ancora scomodarono, per vie traverse, parlamentari amici o amici di amici. Niente da fare. Nessun cedimento nemmeno a fronte di un’offerta da un milione e mezzo di euro. «Ogni volta prendevano tempo – racconta uno dei vicini – ci dicevano che ancora non era deciso nulla e che bisognava aspettare, e che poi ci avrebbero fatto sapere».
Ciclicamente, a fasi alterne, i condòmini chiamavano Roma perché vedevano il tempo passare e l’appartamento andare in malora. «C’è stato un buco di qualche anno. Fino a che – continua un condomino - all’incirca due anni fa, sono cominciati i lavori nell’appartamento ereditato dalla contessa». A quel punto i condomini, tutti quelli interessati, si sono rassegnati. «Vabbé, è andata. Hanno venduto, pazienza». Nel cartello con le indicazioni delle imprese dei lavori appeso all’esterno del palazzo si faceva riferimento ad una società Ltd, denominata Timara, proprietaria dell’immobile. «Sarà una delle tante società off-shore, una di quelle che crei in una qualsiasi banca di Monaco con un avvocato e un notaio e nessuno sa chi c’è dietro, facile da creare perché occorrono mille/millecinquecento dollari per formarla, normalmente sono due azioni al portatore (che lasci in banca) e vige il segreto bancario sopra. Ecco, questo ho pensato quando lessi il cartello» racconta un condomino. Sotto c’era anche scritto che a svolgere i lavori di ristrutturazione era la Tecab del Principato.
Durante le opere di rifacimento dell’immobile «ridotto in uno stato pietoso», giura un residente, mesi addietro si sarebbe materializzato anche Gianfranco Fini e compagna. I condomini rivelano che alle riunioni precedenti l’inizio dei lavori (sul cartellone la data di avvio alle opere era cristallizzata all’8 ottobre 2009 ma in realtà la prima autorizzazione era di luglio) in nome e per conto della società Ltd si sarebbe presentato un architetto, certo Blandi (o Blanchi, ndr) che aveva fatto presente che c’era da tirare giù un muro. L’autorizzazione speciale di lì a poco venne concessa dall’ufficio all’urbanistica: l’architetto che rappresentava la società Timara aveva contatti diretti con chi occupava l’appartamento, «un bel ragazzo, spesso accompagnato da una altrettanto bella signorina bionda».
Indizi sul giovanotto che risiedeva (e tuttora risiede) in Boulevard Princesse Charlotte, al di là della residenza anagrafica, li offre pubblicamente e involontariamente lo stesso inquilino apponendo a fine lavori, sul citofono prima, sul campanello di casa poi, e infine nell’apposita fessura della cassetta delle poste, la targhetta con il nome «Tulliani». Il cognome non passa inosservato tra gli inquilini del villino su tre piani che notano quel ragazzo seguire personalmente i giganteschi lavori in casa. Tutto torna. Quel che fino a ieri non si riusciva a capire era perché l’appartamento avuto in eredità da An fosse finito al «cognato» di Gianfranco Fini attraverso una misteriosa società off-shore che avrebbe acquistato l’immobile, a un prezzo sconosciuto, dalla stessa Alleanza nazionale.
Nonostante le rassicurazioni degli avvocati di Tulliani alle agenzie di stampa sul «regolare contratto di locazione» registrato dal loro assistito e del canone che egli verserebbe «regolarmente come indicato dal contratto», la situazione sembra complicarsi. Perché restano oscuri alcuni snodi della vicenda: com’è arrivata la Timara Ltd al signor Tulliani? Attraverso An? Chi c’è dietro la Timara? Chi sono i soci? È in qualche modo collegata ai protagonisti di questa storia? Quanto ha pagato l’immobile che poi ha subaffittato a Tulliani? In quale paradiso fiscale risiede? È in regola con i prezzi di mercato di Montecarlo posto che per 26 metri quadri, proprio lì, il fitto è di 1.

800 euro al mese? La misteriosa Ltd, prima di affittare al «cognato» di Fini, ha messo l’immobile sul mercato? Ha chiesto ai condomini che da anni tartassavano il partito, se erano interessati? I lavori di ristrutturazione ammonterebbero a più di 100mila euro: nel cantiere li avrebbe seguiti personalmente il signor Tulliani attraverso l’architetto Blanchi. Le spese fanno parte di un accordo fra la società off-shore e Tulliani? Se sì, se ne potrebbero conoscere gli estremi?
(2. Continua)

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