L’arte contemporanea vale una «cicca»

Anche quest’anno il Comune di Torino ripropone «Artissima» con lo slogan, scritto sui manifesti, «Featuring the future» che non so cosa significa ignorando l’inglese. So però cosa mostra e cioè un’ampia rassegna di arte contemporanea che va dalla videoarte alle installazioni all’assemblaggio degli oggetti e materiali più disparati. Mi creda, dottor Granzotto, non sono un parruccone e cerco di star aggiornato sui movimenti artistici. L’anno scorso, ad esempio, mi sono fatto una scorpacciata di arte contemporanea proprio visitando «Artissima» ma le confesso che non ci ho capito niente. Mi ero segnato tre opere, «Ipotesi di infinito» rappresentata da una parete dieci per quattro tappezzata con «carta da spolvero», «Condomino» rappresentato da una pila di vecchi scatoloni di cartone e la terza, della quale ho perso il titolo, che si riassumeva in quattro scarpe da donna e niente altro. Sono andato in giro a chiedere: cosa significano? Ma nessuno mi ha dato una risposta convincente. Secondo lei quella è arte o no? Per essere più esatti, le scarpe, la «carta da spolvero» sono arte?



E lo chiede a me? Però qualcosa devono pur essere, visti i prezzi che spunta l’arte contemporanea, anche se mi chiedo sempre dove poi lo piazzerà, l’acquirente, un affare come «Ipotesi di infinito». Sull’arte contemporanea le racconto questa, caro Monaco. Uno dei capolavori riconosciuti della suddetta arte, addirittura una icona del XX secolo, è la «Fontana» di Marcel Duchamps (valutata, euro più euro meno, sui tre milioni). L’opera rappresenta ed anzi è un orinatoio, nient’altro che un orinatoio. Esposta al centro Pompidou di Parigi, lo scorso anno venne lievemente danneggiata (la maiolica si scheggiò) da certo Pierre Pinoncelli, di professione artista, che evidentemente non apprezzando l’opera le sferrò una martellata (non nuovo a gesti provocatori, il Pinoncelli: si rese anche responsabile di un «attentato culturale» ai danni dell’allora ministro Malraux, aspergendolo con una intera confezione da sei chili di Ducotone. Rosso). Sbalordita, esterrefatta da tanto misfatto, la direzione del centro Pompidou gli fece immediatamente causa chiedendo 427mila euri di risarcimento danni per «perdita di valore» del sublime orinatoio.
Il processo si tenne da lì a poco (siamo in Francia, mica in Italia): Pinoncelli fu condannato per vandalismo a due anni con la condizionale, ma il Centre Pompidou rimase a bocca e tasche asciutte. E questo perché, finalmente ci siamo, caro Monaco, l'avvocato difensore del Pinoncelli sostenne questa tesi, abbracciata poi dalla Corte: noi non riteniamo l’orinatoio un’opera d'arte, ma un semplice oggetto concettualizzato da Marcel Duchamps. E il concetto non ha subito nessun pregiudizio dalla martellata che caso mai ha danneggiato, e solo superficialmente, l’oggetto, per altro un articolo molto comune e facilmente reperibile in qualsiasi negozio di sanitari. Quando ne lessi, trovai l’arringa - e naturalmente la sentenza - mirabile.

Anche perché mi aveva svelato l’essenza dell’arte contemporanea: essendo pura produzione, puro atto mentale, quel che conta è il titolo che l’artista dà all’opera. L’opera in sé, come ha sentenziato il Tribunale di Parigi, non vale una cicca. Che è quello - la cicca, intendo - che lei sospettava, vero caro Monaco?

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