L a perenne camicia bianca slacciata di almeno due bottoni, forse il logo che identifica un personaggio che è già logo di suo (per i francesi è una sigla, BHL), figlio di un miliardario industriale del legno (impresa venduta poi dal figlio-filosofo per svariati milioni di euro a Pinault), erede di fortune spese in viaggi intelligenti e residenze da pascià (quella a Tangeri e l’altra affacciata sullo stretto di Gibilterra sono roba da rivista d’architettura), firma di testate prestigiose, fascinoso e facoltoso pensatore alla moda qual è Bernard-Henri Lévy, non si poteva far mancare anche le belle donne, costante presenza a margine del suo ciuffo esistenzialista. Lui, un nemico pubblico? Suvvia.
L’altro illustre corrispondente di questo carteggio semestrale si avvicinerebbe di più al tipo ideale del maudit, se non fosse che di questa nomea ha fatto un mestiere (molto redditizio peraltro, per il libro in questione pare che i due abbiano incassato 300mila euro a testa dall’editore Flammarion). Signore e signori, Bernard-Henri Lévy e Michel Houellebecq. Due invidiabili reietti che si scrivono partendo da una premessa che vorrebbe essere una conclusione: «Tutto ci separa ad eccezione di un punto fondamentale, siamo entrambi individui piuttosto disprezzabili». Il dialogo tra questi due individui sedicenti disprezzabili (in Italia è edito da Bompiani, Nemici pubblici, pagg. 314, euro 19) è stato anticipato in Francia da una potente campagna di stampa, che però non sembra aver sortito l’effetto voluto sulle vendite. Forse davvero quell’etichetta, ennemis publics, è parsa ai francesi un artificio di marketing. È vero che di nemici, tutti e due, ne hanno parecchi, ma forse non abbastanza per farne spauracchi pubblici. Nella sua lucidità impietosa è Houllebecq stesso a scoprire le carte fin da subito, riassumendo i titoli di infamia raccolti da entrambi, ma - in perfetto stile houellebecquiano - senza avere l’aria di prenderne troppo le distanze: «Specialista delle buffonate mediatiche, disonori persino le camicie bianche che indossi. Amico dei potenti, immerso fin dall’infanzia in una ricchezza oscena, sei il simbolo della gauche-caviar», questo per sistemare l’amico BHL. Quanto a se stesso, definirsi anarchico di destra sarebbe ancora un complimento, «non sono che un beauf» (il francese medio reazionario e sciovinista, ndr).
Quanto a durezze da pericoli pubblici i due lasciano a desiderare, specie BHL. Racconta, il filosofo, di compulsare il suo nome su Google (e di aver addirittura impostato la funzione Google Alert) per sapere cosa si dice e scrive su di lui nel web, un puro riflesso narcisistico. Lui, diversamente da Houellebecq, non ci rimane male più di tanto se scopre che il direttore dei Cahiers du cinéma definisce il suo film (sì, ha diretto anche un film, Le jour et la nuit)) «il più brutto della storia del cinema», non si offende se escono libri «il cui messaggio consiste, grossomodo, nel farmi passare per un mascalzone», e se qualcuno lo definisce un figlio di papà prestato alla filosofia da talk show. Il vendicativo Houellebecq invece sì, se la prende a morte, cova rancori micidiali: «Mi sento a disagio, di fronte all’ostilità dichiarata. Ogni volta provo la stessa sensazione di quando, a causa di un episodio eczematoso, finisco col grattarmi a sangue». Gli eczemi più frequenti di Houellebecq hanno le fattezze di alcuni giornalisti culturali francesi, categoria che lo scrittore disprezza con rare eccezioni (uno dei più detestati è il caporedattore del Nouvel Observateur). Ma perchè poi un nemico pubblico come lui dovrebbe amareggiarsi per così poco? La risposta del «cattivo ragazzo» Michel è sorprendente: «Mi riesce penoso ammettere che ho provato sempre più spesso il desiderio di essere amato. Di essere amato semplicemente, da tutti, come possono esserlo uno sportivo o un cantante, di penetrare in uno spazio incantato senza accuse, né cattiverie, né polemiche».
Restano, al di là dell’artificio editoriale del «nemico pubblico», molte pagine memorabili nell’epistolario dei due intellettuali, agli antipodi in quasi tutto, tanto che stupisce non poco la loro amicizia (non sarà anche questa un’idea dell’editor?). Tagliente come una lama Houellebecq, suadente e morbido Henri-Lévy, disimpegnato fino al cinismo il primo («La Cecenia? È una faccenda interna della Russia»), stereotipo vivente dell’engagé il secondo (presenzialista dei teatri di guerra e delle zone di emergenza umanitaria, «ho sempre avuto», ammette lui stesso «il gusto della performance»). Rimangono, dicevamo, i lampi di intelligenza disperata dell’autore di Particelle elementari, l’introspezione spesso folgorante del maledetto modaiolo BHL. Due antipodi, due isole che qui fanno i conti con la vacuità dell’esistenza ma anche col fiscalista.
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