L'’assistente di Bersani incassa lo stipendio dalla Regione Emilia

Zoia Veronesi, storica segretaria del leader Pd, non è pagata da lui né dal partito. Ma dai contribuenti

Zoia Veronesi, storica segretaria del leader Pd
Zoia Veronesi, storica segretaria del leader Pd

Bologna - Due passi nel Transatlantico di Montecitorio, quattro chiacchiere con un parlamentare qualsiasi, una domandina innocente lasciata cadere: «Conosce Zoia Veronesi?». La risposta, scontata per chiunque frequenti i palazzi della politica romana, sarà la medesima: è la segretaria storica di Pier Luigi Bersani. E da chi riceve lo stipendio, l’assistente del segretario? Dal segretario stesso? Dal partito? Da un ente benefico? No: dalla Regione Emilia Romagna. Cioè dai contribuenti.
Il Resto del Carlino, che ieri ha sollevato il sipario su questa vicenda su cui la magistratura potrebbe presto aprire un fascicolo, parla di un «giallo». Ma molti elementi sono già definiti, almeno a quanto risulta al Giornale. La signora Zoia Veronesi è per Bersani quello che Marinella Brambilla è per Silvio Berlusconi, un’assistente personale inseparabile e insuperabile. Lo affianca dall’inizio dell’attività politica. Approdò tra i dipendenti della regione Emilia Romagna nei primi anni Novanta, quando l’attuale numero 1 del partito democratico ne fu eletto presidente. Da allora la Veronesi ha seguito Bersani in ogni nuovo incarico: parlamentare, ministro, e ora segretario politico. Senza mai perdere il rapporto di lavoro con la Regione rossa.
«È tutto trasparente - ha spiegato la signora Zoia al Carlino - sono arrivata in Regione quando Bersani diventò presidente. L’ho seguito quando è stato possibile, le norme lo consentivano. Quando è diventato ministro sono andata in aspettativa per essere assunta come esterna al ministero delle Attività produttive e poi dei Trasporti. Nel 2001 sono rientrata nel mio ufficio in Regione, nel gabinetto del presidente. È tutto verificabile. Il rapporto di lavoro andrà in scadenza a fine marzo. Nel frattempo ho maturato altre scelte, ma non credo che questo interessi. Non sarò più dipendente regionale. Non sono la segretaria di Bersani, sono stata la segretaria del presidente Bersani».
La faccenda, in realtà, è un po’ più articolata. Zoia Veronesi, che ha seguito Bersani al governo anche fra il 2006 e il 2008, approdò nel 1993 in viale Aldo Moro, sede della Regione. Dal 1996 al 2001, periodo in cui Bersani fu ministro nei quattro governi di centrosinistra (Prodi, D’Alema Uno e Due, Amato), prese aspettativa. Dopo la sconfitta dell’Ulivo, la signora ritornò in regione non più come dipendente ma come dirigente (pur essendo priva della laurea), assunta a chiamata senza concorso per lavorare nel gabinetto del presidente della giunta, cioè di Vasco Errani, ufficio guidato dall’ex senatore e sottosegretario Bruno Solaroli, imolese.
In quello stesso 2001 Bersani e Vincenzo Visco fondarono l’associazione Nens («Nuova economia nuova società») il cui factotum era - ovviamente - la signora Veronesi. Incarico che essa ricopre tuttora, al punto da figurare come capo del coordinamento generale del Manifutura festival, l’appuntamento annuale più importante dell’associazione che per il 2010 si è già svolto a Pisa dal 12 al 14 febbraio scorsi.
Il compito dirigenziale assolto da Zoia Veronesi per la Regione è quello di «raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento». Un incarico strano: che bisogno c’è di un dirigente di vertice a Bologna per tenere i rapporti con le Camere quando la Regione Emilia Romagna ha una sede a Roma in via Barberini, con una decina di dipendenti addetti al Servizio politiche di concertazione istituzionale? La risposta è semplice: la signora Veronesi funge da raccordo con il Parlamento come assistente di Bersani. Il lunedì mattina timbra il cartellino a Bologna, poi se ne va a Roma per raccordarsi con il segretario del Pd.
A fine marzo, assieme alla legislatura regionale in corso, scade anche il contratto dei dirigenti. Quello di Zoia Veronesi non sarà rinnovato. La decisione è già presa, oggi lei risulta in ferie in quanto ha «maturato nuove scelte».

Nei corridoi di viale Aldo Moro circola una versione più dettagliata: che Errani abbia preso paura con il caso Delbono, l’ex vicepresidente finito nei guai per il trattamento di favore riservato a un’altra segretaria (che in quel caso era anche la sua fidanzata). E quindi abbia preferito chiudere un rapporto di lavoro che potrebbe richiamare l’attenzione dei magistrati.

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