L’assurda catena dei baby-suicidi: è l’ansia di voler essere i migliori

Una pagella piena di 10, ma una paura matta di non tenere questa media e di deludere i genitori. «Scusatemi, ma non riesco più ad avere a scuola il solito rendimento». Ha lasciato scritto questo messaggio un bambino cinese di 12 anni prima di lanciarsi dal quarto piano della sua abitazione. La tragedia si è consumata mercoledì pomeriggio a Reggio Emilia. Il ragazzino, che frequentava la seconda media dell’istituto Einstein, secondo gli insegnanti, non aveva mai manifestato segni di disagio. Anche lui vittima della spasmodica richiesta di perfezione. Vittima della vergogna per un brutto voto o per un esame fallito.
La lista dei giovani che non sopportano di vivere nell’imperferzione, si fa sempre più lunga. Prima di Reggio Emilia, l’ultimo caso è avvenuto a Milano l’8 gennaio scorso, a due giorni dalla riapertura delle scuole dopo le vacanze. Un quindicenne si alza da tavola per andare in bagno, si chiude a chiave, apre la finestra e si lancia nel vuoto dal quinto piano. Era un bravo studente, ma l’ultimo voto preso era stato un cinque. Un cinque che forse gli avrebbe abbassato la media e tolto la speranza di avere una pagella senza insufficienze. Il 29 ottobre 2009 uno studente fuori sede di 25 anni si getta sotto la metro della stazione Tiburtina di Roma. Aveva detto alla famiglia di aver sostenuto quasi tutti gli esami: una bugia. Di esami ne mancavano venti. Una menzogna protratta per mesi, fino a quando il giovane ha preferito portarla per sempre con sé.
L’11 giugno dell’anno scorso, a Trucazzano d’Adda, nel Milanese, un bimbo di nove anni viene trovato impiccato nella sua cameretta usando un laccio di una tuta. Secondo le prime ipotesi, il suicidio è stato causato da una brutta nota sul diario. Il 22 marzo 2007 Paolo Armenia, 29 anni, studente universitario di medicina e chirurgia si lancia dall’ottavo piano dell’ospedale «Sant’Elia» di Caltanissetta. Temeva la reazione del padre, al quale aveva detto che si sarebbe laureato a fine mese pur essendo in ritardo con gli esami. Il padre aveva prenotato il ristorante per festeggiare la laurea. Ma Paolo Armenia non ha avuto la forza di spiegare al genitore che gli mancavano ancora altri esami da sostenere. Un’altra bugia pagata con la vita. Per lo stesso motivo si uccide, il 7 luglio 2006, uno studente universitario di 29 anni, di Nervesa della Battaglia (Treviso). Prima di gettarsi da una finestra dell'ospedale Sant'Artemio di Padova, in un biglietto lasciò scritto: «Sono stanco di convivere con la mia paura di dire la verità».
Sempre per un ritardo con gli esami, il 2 settembre 2004 uno studente universitario di 22 anni si uccide a Parma gettandosi dal terzo piano. Dalla lettera lasciata prima di morire, sembra che i genitori lo sollecitassero a raggiungere presto il traguardo della laurea. «È finita, non me lo dovete più chiedere e io non ho più bisogno di mentire». «Sono stanco di vivere, voglio liberarmi di queste catene», si legge questo invece, nel messaggio che il 31 maggio 2004 un diciannovenne di Albiano (Torino) lascia prima di impugnare una vecchia pistola e spararsi al volto. Per i carabinieri il ragazzo si uccise a causa degli scarsi risultati scolastici.

Non solo suicidi, la vergogna e la paura sono anche cause di omicidi. Come quello che si consumò nel febbraio 2001 a Padova. Paolo Pasimeni, studente universitario di 23 anni, uccise a bastonate il padre, docente di 60 anni. Motivo? Aveva scoperto che il figlio falsificava gli esami.

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