Da un lato, il referendum ha cancellato la possibilità di avere un federalismo simmetrico in tutta la nazione. Dallaltro legittima e lancia un nuovo progetto di «federalismo asimmetrico»: ottenere lautogoverno per le Regioni Lombardia e Veneto dove il consenso per tale opzione è prevalente, estendibile al Friuli e forse al Piemonte. Il punto: la riduzione del perimetro di applicazione dellautonomismo ne aumenta la fattibilità. E tale opzione di autogoverno forte solo per alcune regioni del Nord è la soluzione più pratica della destabilizzante «questione settentrionale».
Cè un problema delicato da chiarire preliminarmente. I lettori nel resto dellItalia potrebbero valutare questo progetto come atto di dispregio nei loro confronti. La realtà è ben diversa. La stragrande maggioranza dei veneti, lombardi, friulani e altri che hanno votato sì, e che continuerebbero a farlo in caso di referendum regionali o provinciali per accedere ad uno statuto di forte autogoverno, non hanno nulla contro lItalia sul piano simbolico né praticano neoindipendentismi o lirismi etnici. Hanno, invece, enormi problemi con il modello politico dello Stato italiano. Nel Nord le persone vivono prevalentemente di mercato. In Veneto su quattro persone tre sono imprenditori. E chi vive di mercato sta rischiando il fallimento o linfarto perché lo Stato è modellato per punire e non favorire chi crea ricchezza attraverso la presa di rischio imprenditoriale. Il centrodestra ha tentato di estendere a tutta lItalia un modello istituzionale e fiscale che sia amico e non nemico del popolo produttivo. Ma non ci è riuscito. Quindi lunica speranza per il popolo del mercato di avere una politica amica è quella di realizzarla nei territori dove è in maggioranza: Lombardia, Veneto e dintorni. In tutti gli altri luoghi è maggioritaria, invece, la popolazione che vive di Stato o che è incorporata nel peculiare modello economico «rosso». In tal senso la questione settentrionale è semplice: in Italia è successo che la creazione della ricchezza si sia concentrata solo in pochi territori - tra laltro quelli nella cui storia antica cè la libertà comunale e non il feudo, la mezzadria (precursore della cultura dellimprenditore) e non il latifondo stimolatore dellopportunismo e che questi si siano trovati sottoposti ad un modello nazionale sfavorevole. Così la questione economica è diventata territoriale: le aree produttive devono autogovernarsi con un modello proprio per poter rinnovare la propria ricchezza. Tale progetto non è contro gli altri italiani, non è ideologico, ma è una semplice autodifesa. Da qui nasce, non contro lItalia o per etnicità, il federalismo asimmetrico. Certamente vi potrà essere frizione quando le futuribili Regioni autonome del Nord ridurranno le tasse e investiranno di più in strade e scuole locali e quindi daranno meno soldi allo Stato. Ma non è pensabile che il Nord produca tutta la ricchezza nazionale senza trattenerne la parte necessaria al suo continuo sviluppo. Quindi o sarà autonomismo del Nord oppure rivolta fiscale e/o crisi competitiva. Al resto dellItalia non conviene che il Nord decada o si ribelli perché non riceverebbe più un soldo. Pertanto il compromesso nazionale cè: autonomia del Nord in cambio del mantenimento del finanziamento del resto dItalia, pur a cifre ridotte. Più tecnicamente, non occorre disturbare la Costituzione per dare più autonomia amministrativa e fiscale alle Regioni e Province che lo vogliano: basta estendere e raffinare il già esistente concetto di Regione a statuto speciale e di Provincia autonoma. Ma per riuscirci ci deve essere un sistema politico che rappresenti e spinga con forza tale progetto. Ecco perché la prospettiva di federalismo asimmetrico implica la formazione di un partito territoriale che poi si allei con uno schieramento nazionale.
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