L’autosospensione che assolve sempre il Pd

L’autosospensione che assolve sempre il Pd

(...) E chi non lo farebbe? Per chiunque la prima e unica preoccupazione sarebbe quella di evitare che il partito possa in qualche modo vedere il proprio nome accostato a quello di un arrestato. Che peraltro, in questo modo, si dimostrerebbe anche la persona meno garantista di questo mondo contro se stessa, considerandosi colpevole. Eppure proprio poche ore dopo l’arresto di Franco Pronzato (grande amico di Claudio Burlando, uomo di spicco del Pd nazionale, già braccio destro di Pierluigi Bersani), l’unica reazione dettata alle agenzie di stampa è stata quella che avvertiva di come Pronzato si fosse subito autosospeso dal Pd. Il fatto è che per i «democratici» la presa di distanza è una sorta di atto dovuto nei confronti di coloro che fino a un attimo prima erano stati i loro paladini. E quest’anno per il partito in Liguria è stata davvero dura. Abituati a sottolineare con enfasi la prima intercettazione o il primo avviso di garanzia riguardante un avversario, i compagni si sono trovati nel giro di pochi mesi a dover gestire l’arresto delle loro punte di diamante.
Prima che con Pronzato, qualcosa di assai simile era accaduto con un altro esponente del Pd che veniva portato ad esempio di buona amministrazione della sinistra. Appena arrestato il «faraone» delle Cinque Terre, Franco Bonanini, l’imbarazzo nelle file del partito è stato notevole. Soprattutto con le elezioni amministrative alle porte. Dove la lista ufficiale del Pd che si presentava con un simbolo «civico» e la benedizione del partito, è stata seccamente battuta da un’altra lista espressione della sinistra più radicale. Ovviamente Bonanini è stato immediatamente «dimenticato» dal partito.
Così come risuonano ancora forti le parole di Lorenzo Basso, segretario regionale Pd, pronunciate nel momento dell’arresto di Roberto Drocchi, presidente della Riviera Basket di Vado Ligure e della Lega Pallacanestro Dilettanti, ingegnere dirigente del Comune di Vado, ex consigliere comunale del Pd a Savona e, fino al tintinnar delle manette, candidato alle elezioni amministrative del maggio scorso. Drocchi, secondo la procura, avrebbe preso «tangenti» per assegnare alcune opere pubbliche se non addirittura per evitare le gare. I soldi in realtà li avrebbe «investiti» nella squadra del Riviera Basket. Basso, per l’appunto, fece subito risuonare chiara la posizione del partito: «Sono amareggiato e indignato. Il Pd e i suoi sostenitori sono i primi danneggiati da questa brutta vicenda. Abbiamo immediatamente sospeso Drocchi dal partito e ribadiamo che, in presenza di un minimo segnale, non avremmo mai inserito una persona indagata nelle nostre liste».
Scaricato anche lui. Anche perché di solito il Pd è sempre pronto a puntare l’indice accusatore al minimo sentore di indagine che riguardi l’avversario. Tanto che il coordinatore Pdl Michele Scandroglio ha ricordato al responsabile giustizia del Pd, Andrea Orlando, lo scarso tempismo delle sue dichiarazioni sulla ’ndrangheta in Liguria e i contatti con esponenti del centrodestra. Mentre lui esternava finiva in cella Pronzato.

«Scandroglio sa che non ho mai strumentalizzato le vicende giudiziarie e tanto meno quelle che riguardano il fenomeno delle infiltrazioni mafiose, che possono riguardare tutte le forze politiche - prova a correggere il tiro Orlando - La responsabilità a cui mi riferivo nell’intervista in questione è esclusivamente politica ed è quella di aver contribuito a una minimizzazione e sottovalutazione del fenomeno». In questi casi, meglio un’autosospensione.

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