Politica

L’avvertimento del coccodrillo

Uno pensava che l’avesse voluto avvertire. Parliamo di D’Alema a Berlusconi.
Che D’Alema c’abbia più intelligenza che capelli è assodato.
Ogni tanto gli pattina la frizione e gli slitta via una frase: «Ci saranno delle scosse». Che con la tragedia dell’Abruzzo è come presentarsi sulle macerie delle Twin Towers e chiosare: «L’economia? Prevedo uno schianto». La scossa stava per ribaltone. Che poi ribaltone da noi sta per trappolone, mica cospirazione.
E alla fine un complotto è già rientrato. Non quello vero, ma quello falso.
Cominciamo da quest’ultimo. Obama ha detto di «essere profondamente turbato dai fatti iraniani». Iraniani. I-ra-nia-ni! Capito? Non italiani. E poi ha aggiunto di «non poter tacere su quanto avviene» ma rispondeva sempre alla Repubblica Iraniana non a la Repubblica di D’Avanzo. Quindi tutti quelli che dicevano: attenzione! Attenzione! L’America soffia contro Berlusconi! Son stati soffiati via.
Rimane il complotto vero: quello made in Italy.
Si fa così: nel 1992 il pentapartito aveva il 53,2% (cinquantatrevirgoladuepercento!) e fu mandato a casa a calcioni. Si era scoperto che i partiti si finanziavano illecitamente. Una scoperta straordinaria. In realtà il finanziamento illecito alla politica era sempre esistito ma era stato definito lecito o illecito a seconda degli anni. E negli stessi anni, a seconda dei partiti.
Nel 1994, lapidati quelli del 53%, gli esce fuori Berlusconi. Ecchecavolo! E allora che facciamo? Aspettiamo che sia lì in mezzo al mondo, a Napoli, al vertice Onu sulla criminalità con tutti i grandi della terra e gli mandiamo un avviso in tinta. A tema. Spazzatura si rivelerà. Ma tanto quella terra ne avrebbe dovuto cumulare molta, molta altra.
Il problema è che il tizio, Berlusconi, è recidivo. È come quelle palline di gomma che più le tiri giù e più rimbalzano su. Fortissime. Magari tra le gambe.
Quindi dicevamo il complotto. D’Alema spiega che qualcosa accadrà. E vista così l’intuizione non sembrerebbe tanto geniale. Nella vita, infatti, è più facile che accada qualcosa che il contrario.
Anzi, se poi fosse accaduto davvero qualcosa - com’è stato - tutti a dire:
Prima ipotesi: D’Alema sapeva! Quindi è il regista (e non risulterebbe una gran figura. Per un peccatuccio di vanità farsi sgamare non sarebbe da lui).
Seconda ipotesi: D’Alema non sapeva ma c’ha azzeccato (per un meridionale positivista conquistare una nomea che ti colloca tra l’indovino e il menagramo non è il massimo).
Ergo non rimane che la terza: l’avvertimento del coccodrillo.
Perché in fondo D’Alema ha lo stesso amore per certa stampa di Berlusconi: «Sai che differenza c’è tra una mosca e un politico? Nessuna, si ammazzano entrambi con un giornale» (da barzelletta post sovietica).
È un’anomalia in questi tempi di pentitismo premiale. Tra gente un tempo molto fascista e altra molto comunista lui è diverso. «È il più intelligente ma anche il più comunista» spiegò Berlusconi. «Sulla prima non sono io il giudice... sulla seconda non ha tutti i torti» rispose lui.
È spavaldo nella sua impermeabilità alle invidie. Veleggia fottendosene di ogni occhiata pauperista alzando il sopracciglio solo quando il 36 motori del Cavaliere lo passa sfrecciando, lasciandolo ad ingoiar marosi.
D’altronde sono due padroni del loro consenso e obbligatoriamente anarchici. Per questo D’Alema, da sempre, è nella stessa lista nera dei nemici di Berlusconi. Che non giudicano tanto la cultura, la raffinatezza, il garbo o l’acume ma il carattere. Se non sei servo non servi.
Così per caratteri opposti parlano col mondo e sono di sostanza. Non volete la centralina nucleare sotto casa? Non avete trovato un giacimentino di oro nero a Capalbio o a Predappio? Benissimo! Quindi accantonate la propaganda per fare ciò che alla politica è richiesto: governare. Ricordandoci che siamo in mezzo a un mare dove si affaccia tanta gente da millenni e che se coi vicini si va d’accordo è una rottura di balle in meno e forse un piacere in più.
Allora perché l’ha fatto? Rimarrebbe solo l’invidia per quello zibaldone di successi che è il Cavaliere ma sarebbe un sentimento troppo umano e scialbo per albergare in lui.
D’altre parte il genio di Arcore conosce il consenso meglio di Gramsci e il materialismo meglio di Engels. Perché in democrazia la gente si conta e non si pesa. Pure a Casoria.
Comunque si mettano l’anima in pace: tra il ’92, il ’94 e oggi le differenze sono tante. L’America ha la testa girata altrove. Berlusconi ha il partito più grande della storia d’Italia e un patrimonio non molto inferiore. Non c’è Scalfaro al Quirinale. All’opposizione c’è Casini che è un ottimo democristiano e un golpista proprio non pare. C’è poi Di Pietro che «non scenderò mai in politica» e ha consegnato l’indipendenza della magistratura ad una lista elettorale.
D’Alema, sempre generoso aruspice, sognava «di vedere Berlusconi chiedere l’elemosina all’angolo della strada». Negli anni successivi, visto il fatturato del Cavaliere, si mise l’anima in pace. Niente rovina. Altri vollero interpretare quella visione: va bene, niente elemosina. Ma che ci faceva all’angolo della strada? Era notte? C’erano donne? E da lì nacque il tutto.
Certo, una grande guerra cominciò per le vicende di una donna e la città, Troia, rimase nella storia un brand evocativo di grande successo. Ma qui sembra materia più da mitomani che mitologica.
Per cui in un «Paese normale» e democratico se uno ha la maggioranza, l’altro che è pure Democratico non potrebbe organizzare un po’ di politica per prendere più voti e finirla lì?
La vera scossa in realtà l’ha data Enrico Letta: appoggerò Bersani se archivierà la socialdemocrazia. Premesso che sarebbe come chiedere a Berlusconi di non guardare le donne, preoccupa il tacito silenzio.

Non è che l’abbandonano, sì, ma per tornare al comunismo?
luca@josi.it

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