L’avvocato che faceva pianobar e ora prova a rimpiazzare Pavarotti

L’allievo di Franco Corelli ha già venduto 50 milioni di cd tra pop e musica classica

Cesare G. Romana

Quando Caterina Caselli mi fece sentire i provini d’un tenore toscano, che aveva ascoltato in un concerto di Zucchero e che aveva deciso di portare a Sanremo, pensai: «Splendida voce. Peccato che non canti la lirica». Seppi poi che tra gli estimatori di quell’artista sconosciuto, che faceva l’avvocato e cantava Aznavour nei piano-bar versiliesi, c’era un gigante dell’opera, Franco Corelli, che gli era stato maestro e, ascoltandolo, aveva detto: «Ha una voce malinconica, che commuove il pubblico».
L’artista era Andrea Bocelli. Tutte le case discografiche avevano cestinato i suoi provini, poi Zucchero e Michele Torpedine, manager bolognese, gli avevano offerto un palcoscenico, e la Caselli ne aveva officiato il battesimo discografico. A Sanremo Bocelli vinse, ci tornò interpretando Con te partirò e scalò le classifiche internazionali. Era nata una nuova popstar, ma lui aveva altri traguardi. Debuttò nel Macbeth di Verdi, realizzò dischi d’arie d’opera che conquistarono il mondo. Poi fu la volta di Bohème, Werther, Tosca, Trovatore, e perfino l’America impazzì per quella voce sensuale, dagli acuti smaglianti. Ad applaudirlo accorrevano Liz Taylor, Gregory Peck, Harry Belafonte, Tom Cruise, Barbra Streisand. Céline Dion squittì: «Se Dio avesse una voce, avrebbe la sua», Clinton l’invitò alla Casa Bianca, tra i suoi fan si schierarono Elisabetta d’Inghilterra e Karol Wojtyla. Grandi direttori d’orchestra - Abbado, Maazel, Mehta, Whun Chung - vollero lavorare con lui, e il pubblico americano gli tributò onori che nessun tenore aveva ottenuto più, dai tempi di Mario Lanza. Solo una parte della critica nicchiò: «Un cantante pop che canta l’opera? Ohibò». Lui rispose, pacioso: «Anche Di Stefano e Alagna hanno cominciato con le canzoni». Pavarotti sogghignò su «quel Bocelli che vuol fare il tenore», ma poi lo invitò al Pavarotti & Friends, per duettare con lui.
Oggi big Luciano, secondo la legge inesorabile degli anni, s’avvia verso un sereno pensionamento. E «quel Bocelli», con oltre cinquanta milioni di dischi venduti, ne va prendendo il posto, nell’affetto del pubblico.

Perché questa è la norma dello star-system: quando Caruso morì il mondo si sentì orfano, ma arrivò Gigli e tutto ricominciò. Quando Del Monaco si ritirò, subentrò Domingo. Chiamala arte, provvidenza, legge di natura. O, se vuoi, divismo.

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