Cultura e Spettacoli

L’eccezionale importanza di impennare col vespino

«Ma non vi accorgete di quanto siete démodé?». In una puntata di Ciao Darwin Aldo Busi si gira verso un gruppo di uomini eterosessuali e commina la sentenza definitiva. Busi ha visto chiaro lo spirito del tempo. Il maschio medio, senza arrivare agli estremi del petto villoso e di prendi una donna trattala male, ha «un carattere di passato» avrebbe detto Hegel. Nell’era del «metrosessuale», del gay che vuol dire allegria, del transgender selvaggio, del femminismo che filtra anche dalle circolari ministeriali, essere maschi è una condizione marginale, una riserva indiana. Se non nella pratica (i maschi-maschi in giro esistono ancora) almeno nella cultura.
Addirittura in certi filoni accademici come i «gender studies» dopo decenni di studi femminili, femministi, trans, e così via, occuparsi di maschi è un’operazione sospetta. Nel 2000 l’antropologo francese Daniel Welzer Lang ha scritto un saggio sulla mascolinità che nel sottotitolo precisa: «per un approccio femminista, non omofobo, degli uomini e del maschio».
Se il paesaggio è questo allora risulta interessante il libro di Franco La Cecla: Modi bruschi. Antropologia del maschio (Elèuthera, pagg. 168, euro 13). La Cecla alza un dito e dice agli studiosi e alle studiose: democraticamente parlando ci saremmo anche noi. Storicamente gli studi femminili e femministi non si sono occupati della controparte, bastava presupporre un’idea di uomo come Grande Oppressore. Il risultato è che del famoso conflitto dei sessi, dei rapporti al limite e oltre il limite del guerresco tra uomini e donne si capisce sempre meno. E invece La Cecla, con sprezzo del pericolo, racconta il mondo maschile senza scusarsi con tanti esempi presi da tante culture. Il compito del maschio, dice La Cecla, è di essere un disgraziato, cioè alla lettera di dis-graziarsi, di togliersi di dosso l’aura materna, femminile, aggraziata. A questo servono i pomeriggi al bar tra ragazzi, gli spogliatoi delle squadre di pallone, insomma tutte le occasioni sociali in cui ci si ritrova tra maschi. L’essere dis-graziati va acquisito di fronte ad altri uomini, è quello che oggi si chiamerebbe una pubblica performance, e una volta si sarebbe chiamato rito di passaggio: gli sfottò, lo scambio di battute veloci, le impennate col vespino, gli urli, prendersi a pugni per scherzo davanti agli amici, tutta la competizione che si vede nei gruppi di maschi è la messa in scena di una conquista dell’identità. Un processo molto doloroso per gli adolescenti di oggi. «Non c’è condizione più miserabile nella nostra società di quella di un ragazzino adoloscente - scrive La Cecla -, squassato com’è tra i messaggi di una società che lo vorrebbe “consumatore indipendente” e quelli di un sistema familiare iperprotettivo».
Se il momento di passaggio non si supera, l’adolescente diventa un Peter Pan (eterno ragazzino, eterno asessuato) o un imbranato. L’amicizia maschile è fatta di elementi anche loro un po’ in ombra nella società contemporanea. Non «compatire» l’altro ma «compartire» con lui una certa situazione. «L’amicizia maschile è un guardare distrattamente nella stessa direzione presupponendo la presenza dell'altro, ma non volendola esaurire o pretendere».
Ma la parte più polemica del libro di La Cecla riguarda il dominio maschile. Siamo sicuri, si chiede La Cecla, che il maschio sia il tenutario di tutti i poteri e i privilegi? Perfino nell’apparentemente immobile cultura mediterranea le donne hanno un potere sociale, matriarcale: in Calabria le donne del paese si riuniscono la mattina per interpretare i sogni fatti durante la notte e decidere la giornata, in Sicilia le mogli dei pescatori dominano il paese, in Grecia regolano la vita familiare.

Le donne filippine emigrate negli Usa addirittura comprano per posta i mariti.

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