Politica

Per l’emozione la Polverini si sveglia due ore prima

RomaIl ballo della debuttante. Renata Polverini non ha proprio una carta d’identità da novizia (a maggio compirà 48 anni) ma è alla sua prima candidatura politica. Esperienza che ha affrontato con piglio sbarazzino tra qualche ingenuità e un po’ di ballo, appunto. Quello che accenna ogni volta che, in una sala o in una piazza, gli altoparlanti mettono nell’aria un po’ di musica. E quello vero, da febbre del sabato sera, a cui ha confessato di abbandonarsi ogni tanto tra una visita in ospedale e il comizio in un paesino ciociaro. Così Renata ha cercato di segnare la vera differenza con la rivale, Emma Bonino, più anziana, scafata ma anche troppo sabauda per una città sanguigna, tanto distante dal popolo da permettersi il lusso (o lo sberleffo?) di trascorrere intere giornate di campagna lontana dal Lazio.
Camicia bianca da ometto, jeans slavati attillati su una silhouette scavata dai 30mila chilometri percorsi in giro per il Lazio, stivaletti scamosciati, Renata vive il giorno della verità con l’informalità del dì di festa, sperando che alla domenica delle palme segua il lunedì degli allori. Cronisti e fotografi la attendono alle 10.30 sotto un sole quasi estivo davanti alla scuola elementare Franchetti, nel quartiere pop-chic di San Saba (quello dov’è nato anche Claudio Ranieri, tecnico della Roma). E lei se ne sta come una massaia al forno pochi metri più avanti, ad acquistare colombe e pizze pasquali da piluccare nel pomeriggio nel comitato elettorale.
Quando vede i giornalisti, gli stessi che non l’hanno mollata un attimo in questa lunga e perigliosa avventura, si commuove quasi: «Che bello rivedervi, ieri quasi ero caduta in depressione», scherza, riferendosi al sabato in cui, primo giorno dopo tre mesi, ha trascorso una giornata quasi da privata cittadina. Confessa, emozionata: «Con l’ora legale me so’ confusa, me so’ alzata due ore prima!». Poi, carta d’identità e tessera elettorale già pronte in mano, imbocca il cortile della scuola: sorridente, elettrica, prodiga di saluti. All’ingresso nella sezione 1228 (la storia si può scrivere - a matita copiativa - anche nella IB di una scuola elementare) fa quasi un passo indietro, spaventata dal muro di fotografi schierati come al festival di Cannes. È lì che Renata sembra rendersi conto di quello che ha combinato. Dopo il voto, un minuto scheda in mano sull’orlo dell’urna per i flash, facendo di buon grado (a gentile richiesta) con l’altra mano il gesto della vittoria e poi un meno impegnativo ma tanto obamiano pollice su. Tutto ok? Tutto ok.
Quando esce Renata si vuol godere la festa fino all’ultimo. Fa la brava cittadina: «Sono emozionata come tutte le volte che voto. L’unica differenza che oggi ci ho trovato il mio nome. E dopo tutto quello che è successo...». Chiede alle persone del suo quartiere: «Hai votato bene?». A un uomo che cerca di sapere, sussurrandole all’orecchio, che notizie girano, risponde gongolante: «Buonissime». Prima della messa nella bella chiesa dove si è sposata ventun anni fa, quella di San Saba - e un bimbo la riconosce: «Papà, guarda, la Polverini!» - un caffè in un bar di viale Aventino. Poi una passeggiata in centro con lo staff, il pranzo gioioso in un ristorante di piazza Augusto Imperatore, e finalmente una capatina nel comitato elettorale di via Imbriani, al Flaminio. Dove oggi trascorrerà, come da calendario, il suo lunedì di passione. «Si farà tardi, portate le pantofole», sussurra confidenziale a una cronista.

Poi, però, sarà tempo di rimettersi le scarpe da lavoro.

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