L’erotismo nascosto in un paio di collant

Cinquant’anni fa negli Usa fu inventata la calza che ha rivoluzionato il mondo della moda: per le donne fu l’inizio della comodità, per gli uomini la fine del desiderio

L’erotismo nascosto 
in un paio di collant

L’anno in cui ci fu un intelligentone che inventò il collant, il prefetto di Trento sequestrò un numero del Borghese perché aveva pubblicato la foto di una giovane trentina in costume da bagno... In quel 1959, i giornali stranieri parlavano del «miracolo economico» dell’Italia, Salvatore Quasimodo aveva vinto il Nobel per la Letteratura («a caval donato non si guarda in bocca» aveva chiosato risentito il grande critico Emilio Cecchi), Emilio Segre quello per la Fisica, Giuseppe Tomasi di Lampedusa lo Strega per il Gattopardo (ma lui intanto era già morto), Pier Paolo Pasolini pubblicato Una vita violenta, Lucio Mastronardi Il calzolaio di Vigevano. Era un Paese strano l’Italia d’allora: veniva istituito il primo corpo di polizia femminile, ma in alcune scuole si vietava l’uso dei blue jeans, Giò Ponti costruiva il Grattacielo Pirelli, il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi si inginocchiava davanti a papa Giovanni XXIII ed erano appena stati chiusi i casini...

Per la verità, era strano il mondo, o forse il mondo, Italia compresa, è sempre stato strano: Batista era fuggito da Cuba e Castro vi era entrato, De Gaulle stava per uscire dalla Nato e dalla Algeria, l’Urss aveva sparato il primo razzo sulla luna e Kruscev aveva detto che, nel giro di poco, avrebbe battuto il capitalismo. Al cinema davano A qualcuno piace caldo, con Marilyn Monroe che suonava l’ukulele, I quattrocento colpi di François Truffaut, Federico Fellini aveva finito il montaggio della Dolce vita.

Stando al Dizionario della moda, il collant fu, nel suo campo, «l'invenzione del secolo» e se fossimo nati donne ci potremmo anche credere. Tecnicamente parlando, era una calzamaglia femminile alta sino alla vita, e al suo inizio leggera e color pelle. Nel tempo li avremmo visti, stando al dizionario sopracitato, bianchi da infermiera, neri da spogliarellista del Crazy Horse, velati da nonnine di Cappuccetto Rosso, colorati da sexy nipotine, istoriati alla maniera dell’antico Egitto, optical seguendo la moda d’oltre Manica e, ma questo lo aggiungiamo noi, ci sarebbe stato spazio anche per i pantacollant, una mostruosità nella mostruosità che ebbe il suo fulgore, si fa per dire, negli anni Ottanta, quando invano cercava di contenere natiche fuori ordinanza e cosce come tronchi d’albero.
Dal punto di vista della liberazione dei movimenti e di atteggiamenti nel segno del confort, naturalmente il collant fu per chi lo indossava, una liberazione, ma per chi si riteneva deputato, in quanto maschio, a sfilarlo, fu un disastro. Chiunque abbia cominciato a fare pratica di sesso ancora negli anni Sessanta, quando la garçonniere era roba da commendatore, in casa c’erano sempre i genitori e insomma, per dirla in breve, lo si faceva in macchina, ha in proposito ricordi terribili.
Ironia del destino, l’invenzione del collant andò più o meno di pari passo con quella della minigonna, lanciata dalla stilista Mary Quant e, se è lecito un giudizio personale, si trattò di una vera e propria vigliaccata femminile. Ma come, non avevi fatto a tempo a bearti di quelle gambe che puntavano al cielo nel loro nudo splendore che subito te le ritrovavi sempre più velate, sempre più coperte. Non è che qui si voglia fare l’esordio della giarrettiera, ma insomma, in fondo la minigonna era nata a Londra, dove le calze femminili erano considerate una stranezza, non si poteva per una volta essere esterofili e, in quanto tali, nazionalisti?

Si dirà che anche i collant hanno il loro fascino. In Blow up, che è un film del 1966, fascia i fisici adolescenziali di Jane Birkin e di Verushka, e certo uno si mette sugli attenti, e però poi lì, dopo, è tutto un tirare e uno strappare, perché c’era anche questo da considerare, l’aderenza da un lato, la robustezza dall’altro, una mano non bastava, spesso e volentieri ti ci voleva l’aiuto della controparte femminile... In In caso di disgrazia, che è un film del ’57, pre-collant dunque, per sedurre Jean Gabin, avvocato tutto d’un pezzo, Brigitte Bardot si solleva la gonna e sotto c’è solo un paio di calze di seta color carne, o forse nemmeno quelle, la memoria e l’età, si sa, giocano brutti scherzi e anche la nostalgia ormai non è più quella d’un tempo...

Brigitte Bardot, già. La Francia si prepara a festeggiarla - compie 75 anni - con una mostra che ha per nome Les années “insouciance”, «Gli anni della spensieratezza», che poi sono proprio quelli di cui stiamo parlando, il crinale in cui un decennio si chiude e se ne apre un altro. E quanto alla liberazione femminile quale manifesto migliore di quel Et Dieu créa la femme (in italiano lo intitolarono Piace a troppi, pensa un po’) che nel 1956 la rivelò, lei e le sue gambe nude che seguono il ritmo del mambo... La minigonna di B. B., gli short tagliati alle natiche di B. B. su e giù per Saint-Tropez, gli stivaloni di vernice nera e il bikini delle feste alla Madrague... E i collant di B. B.? Boh. Non ce ne siamo accorti e la foto che pubblichiamo comunque non fa testo...

Il più grande nemico di questo indumento è stato un fotografo inglese. Si chiamava, si chiama, David Hamilton, e all’inizio degli anni Settanta divenne il cantore delle jeunes filles... Hamilton era un Nabokov senza dannazione, un Balthus senza filtri intellettuali, un panteista pagano nato in ritardo sul suo tempo e che si era ritagliato un mondo a propria immagine e somiglianza dove la rivoluzione dei costumi, la modernità e quelle cose lì non avevano parte alcuna.

Le sue ninfe inalberavano grandi cappelli di paglia con visiera, morbidi chémisiers, lino, seta e organza erano i tessuti che le coprivano e le nudità spiate, rivelate, accennate o esibite parlavano, quando c’era, di biancheria intima desueta, a marcare il sottile confine che sta fra la consapevolezza del proprio corpo, la reticenza, e la voglia di specchiarsi in esso, il sottile fascino della seduzione.

Certo i collant hanno la loro comodità... Ma l’articolo allora andava chiesto a una collega di sesso femminile.

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