L’errore Le parole in stile Ballarò cancellano le giuste critiche

Caro Massimiliano, ci sono parlamentari inseguiti da condanne per camorra, altri che complottano da anni per distruggere il proprio governo. Consiglieri provinciali che saltano fossi come la bicicletta ammortizzata sogno della nostra infanzia, un consiglio regionale bloccato da una finta maggioranza di convenienza, le comiche umorali di Tursi ma noi ci accapigliamo intorno a Musso che, in fin dei conti, se n’è solo andato nel Gruppo misto insieme ad un simpaticone come Villari con cui, lo confesso, andrei anch’io più volentieri rispetto a stare con Capitan Gasparra e le sue intemerate.
Come sai, una volta approfondita la procedura regolamentare, ho cambiato idea sulle dimissioni ad ogni costo. Di tutto ha bisogno il paese in questo momento tranne che di una votazione, obbligatoria, a scrutinio segreto sulle dimissioni di un nostro senatore. Invece che su Primocanale saremmo finiti su Annozero e per il centrodestra di Genova non sarebbe stato un avanzamento di carriera.
Ciò premesso, a mio modesto avviso ci sono due piani di valutazione. Uno su cui Enrico ha ragione, l’altro su cui ha torto. Sta a noi decidere a cosa diamo più valore in questo momento.
Il disprezzo per questioni come la squallida vicenda Brancher, ad esempio, è sacrosanto e pone il limite entro cui un parlamentare debba forzatamente attenersi, sebbene nominato. Subentrano la sua coscienza ed i suoi valori e di questo dobbiamo farcene una ragione. Altrimenti gazebo in spalla, volantini in mano e via a litigare nel partito mettendoci la faccia superiore e quella inferiore.
Dove il discorso di Enrico cade è sulla critica tecnica al governo per cui decide di abbandonare il gruppo. Affermare genericamente che non sia stato rispettato il programma per sostituirlo con leggi ad personam va bene per Ballarò ma è superficiale e fa danni gratuiti perché se questo governo ha un pregio è di aver provato a governare. Bene o male ma per la prima volta, a mia memoria e da buoni italiani non ci siamo abituati.
Un esempio tra tutti. Criticare l’amicizia con Putin vale qualche titolaccio di Repubblica ma i ritorni economici delle nostre aziende coinvolte nei gasdotti siberiani? Ed i miliardi di commesse in Libia di Impregilo, altra azienda italiana, grazie a Gheddafi? Che senso ha prendersela con la fuga dei giovani laureati, allora? Quanti di loro può assumere Eni se realizza il gasdotto Southstream?
Perché l’alternativa sono le amicizie internazionali della sinistra bella, per esempio con Hamas, che ci ha regalato solo pacchi come il terrorista Ocalan o bombardamenti in Kosovo.
Questo è il piano su cui mancano serie critiche di merito e la cosa mi delude un po’ vista pure la presenza di una fondazione di studio.
Ciò che questo feroce dibattito conferma, invece, è quanto si contasse o ancora si conti su Enrico per strappare i tentacoli della piovra dallo scoglio di Genova. C’è chi si è sentito deluso e chi insiste ed il nostro Giornale ne misura sempre onestamente il polso.


Ma in entrambi i casi, diciamocelo, traspare una ben scarsa fiducia sulle possibilità del resto della compagnia di centrodestra genovese altrimenti saremmo a discutere di un candidato sindaco o, alleluja, del programma.
Sarebbe il caso di metterci una pezza quanto prima.
Figurarsi!
Con affetto.

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