L’esempio Spagna: via libera ai licenziamenti low cost

Adelante, Mariano. Mentre in Italia la riforma del mercato del lavoro resta al momento più che un’ipotesi un argomento di dibattito da talk show, in Spagna si va avanti con la velocità di Speedy Gonzales. In appena 52 giorni, una manciata in meno rispetto alla reggenza Monti, il premier Mariano Rajoy ha lasciato da parte l’istinto del conservatore per abbracciare la bandiera del riformatore a tutto tondo. Messi all’inizio i paletti anti-deficit, ridisegnato poi il sistema bancario, adesso è arrivata la terza ondata, quella che rivolta come un guanto, in modo strutturale, i meccanismi dell’occupazione. Ingranaggi pieni di ruggine, prossimi a incepparsi del tutto. Quando ti ritrovi con troppa gente a spasso, quella riassunta da un rabbrividente 23% di disoccupati, c’è poco da riflettere. Occorre agire.
Ecco così partorita una riforma definita «storica», la prima per importanza dai tempi del franchismo, destinata a rendere meno costoso mandare a casa un dipendente. Le nuove norme danno infatti, in modo più semplice ed esteso, la facoltà di ricorrere ai licenziamenti low cost. Il numero di cause che il datore di lavoro può addurre per interrompere il rapporto, una situazione nella quale l’indennità sarà più economica (20 giorni per anno lavorato, fino a un massimo di 12 mensilità), è stato aumentato. Niente più giusta causa: basterà, per esempio, essere alle prese con perdite che durano da nove mesi.
L’intento è quello di favorire le piccole e medie imprese, da cui dipende il 90% dell’occupazione, attraverso contratti a tempo indeterminato per le aziende con meno di 50 lavoratori. Ma l’obiettivo è anche quello di combattere una piaga quale soprattutto la disoccupazione giovanile (al 48%) e quella cronica. Ciò risulta evidente dallo sconto annuale di 3.600 euro per tre anni nei contributi dell’impresa alla Sicurezza sociale in caso di assunzione di giovani fra 16 e 30 anni e di 4.500 euro per i disoccupati di lungo periodo di più di 45 anni. Per un periodo massimo di un anno, i lavoratori sotto i 30 anni riceveranno la metà dello stipendio, un taglio in parte compensato dal 25% di sussidio che continueranno a percepire.
Infine, massima flessibilità negli accordi collettivi.

In caso di crisi le imprese potranno sganciarsi dagli accordi di categoria e modificare tempi di lavoro, funzioni dei dipendenti e retribuzioni. Il governo ha poi scardinato un antico caposaldo sindacale: d’ora in avanti, gli accordi d’impresa prevarranno su quelli collettivi nazionali o regionali, e alla scadenza saranno validi ancora solo due anni.

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