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L’esordio del ministro Hillary: «Più alleati e meno nemici»

Ha coniato una nuova formula, lo «Smart power», il «potere intelligente» che dovrebbe permettere all'America di difendere i propri interessi mischiando diplomazia e forza e non ha sbagliato un colpo. Hillary Clinton ieri ha testimoniato di fronte alla Commissione esteri incaricata di vagliare le sue credenziali come Segretario di Stato. Missione compiuta e non è una sorpresa.
Per giorni l'ex first lady ha preparato il terreno chiamando più volte i suoi ex colleghi parlamentari. Ha mediato, smussato e soprattutto sminato. Di solito durante le audizioni fioccano le domande impertinenti. Ieri no, nessuna cattiveria, nessun colpo di scena, nemmeno quando il repubblicano Lugar ha ipotizzato un possibile conflitto di interessi con la fondazione di Bill Clinton, finanziata da uomini politici e d'affari di tutti il mondo. Ma la Clinton lo ha rassicurato ricordando che la lista degli sponsor di suo marito è stata pubblicata qualche settimana fa e pertanto, ora che i cassetti sono stati svuotati, nessuno potrà sollecitare scambi di favori.
Poi solo miele, fin troppo, al punto che in diretta sulla Cnn uno spettatore è sbottato affermando che più che un interrogatorio sembrava uno scambio di elogi tra la signora Clinton e la Commissione. Mancavano il tè, i pasticcini e un po' di musica in sottofondo; per tutta la giornata i toni sono stati estremamente concilianti, rispettosi, quasi salottieri.
Sì, Hillary si è preparata proprio bene. Ha esordito affermando che l'America da sola non può risolvere i problemi «più pressanti» del mondo e il mondo, a sua volta, non può risolverli senza l'America. «Penso che la potenza americana abbia lasciato a desiderare negli ultimi otto anni, ma resta desiderata». Poi ha reso un accorato omaggio alla madre di Obama: «Ann Dunham doveva partecipare alla Conferenza Onu sulle donne di Pechino, ma si ammalò, non poté andare e morì poco dopo. Per tutta la vita si è impegnata a favore dei poveri, dei diseredati, delle donne e io prometto di proseguire il suo lavoro».
Commovente, impeccabile Hillary, che ha potuto giocare di sponda con il presidente della Commissione, l'ex candidato presidenziale John Kerry, che l'ha introdotta con queste parole: «La presenza della Clinton alla testa del Dipartimento di Stato costituirebbe il segnale che l'America è tornata». E lei, di rimando: «Per quanto possano sembrare complessi i problemi del Medio Oriente, non possiamo rinunciare alla pace», a cominciare da Israele e Palestina, per «porre fine alle sofferenze dei civili», garantendo da un lato il diritto alla sicurezza, dall'altro quella di uno Stato indipendente. La promessa è generica, e condita dal consueto no (per ora) a una trattativa con Hamas, ma quel che conta è l'intenzione: l'America di Obama sarà moderata e impegnata a ripristinare quella «politica bipartisan, che in passato ha avuto molto successo». Tanto per cominciare verrà rimodulato l'approccio verso Teheran. Obama vuole meno minacce e più dialogo; l'ex first lady si allinea, e pur ribadendo che «una bomba atomica iraniana è inaccettabile» conferma che «sono allo studio diverse opzioni». A Cuba la Clinton manda un segnale di apertura: saranno rimosse le restrizioni per i viaggi nell’isola degli esuli negli Usa.
Con cautela; anzi, con saggezza. «In ogni impresa il corso giusto per gli uomini avveduti è di cercare prima di tutto la persuasione», afferma l'ex candidata alla nomination, citando una frase del poeta latino Terenzio, a cui aggiunge una postilla: «La stessa verità vale anche per le donne».
Forbita, sorniona e, soprattutto, seducente. Il sì della Commissione è scontato, quello del Senato anche. Quando martedì Obama giurerà, Hillary sarà già Segretario di Stato.
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