L’esotico piace allo zotico? No, allo snob

Caro Granzotto, come abbiamo appreso dalla stampa e dalla televisione, anche quest’anno un gran numero di italiani hanno scelto di trascorrere le vacanze di fine anno in luoghi turistici esotici, chi in Kenya e chi alle Seychelles, chi alle Maldive e chi ai Caraibi. Da un lato ciò è confortante perché dimostra che la famosa crisi, se mai ci fu, è acqua passata. Dall’altra la fuga ai Tropici desta allarme perché comporta un elevato rincaro, basti pensare al trasporto aereo, del global footprint, l’«impronta ecologica», con conseguente contributo al riscaldamento globale. Ma noi italiani non avevamo una spiccata vocazione ambientalista?
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Ben detto, caro De Rosa. È così: l’italico ambientalismo soggiace alla sindrome del «Nimby», not in my backyard, non nel mio cortile, come a dire che va tutto bene purché non sia io a pagare il conto del riscaldamento globale o del termovalorizzatore o della centrale nucleare. Un atteggiamento che va ricondotto alla corrente di pensiero così ben riassunta dalla verve partenopea nel «chiagne e fotti». Ma per chi saggiamente ritiene il surriscaldamento climatico provocato dall’attività umana una sesquipedale panzana e, di conseguenza, il global footprint un giochino per bambini scemi, lo svernare ai Tropici, perché no? Ne subisce il fascino anche chi la considera una scelta plebea (cioè, per via del detto «allo zotico piace l’esotico», burina) assai poco politicamente corretta e per nulla intelligente (ricorda, caro De Rosa, le «vacanze intelligenti»?). Gente che se colta sul fatto nega d’aver scelto vuoi le Bahamas o vuoi Mauritius perché quando qui si rabbrividisce laggiù ci si abbronza e magari si folleggia anche. Gente che messa con le spalle al muro t’inventa che si trova lì, a cavalcioni dell’Equatore, non perché vi fa caldo quando da noi tira un freddo birbone, non perché ci si abbronza, ci se la spassa e ci si tuffa dove l’acqua è più blu. Son lì, sbuffano, senza un motivo, giunti come per caso, tanto per loro un posto vale l’altro. Oppure ammoniscono di non farsi trarre in inganno dalle apparenze, di non scambiarli per dei volgari turistucoli che delle vacanze colgono solo l’aspetto godereccio.
Fu il caso di Giovanna Melandri, la quale molto s’inviperì per esser stata segnalata ballante e ridente a uno dei memorabili festoni che quel gran festaiolo di Flavio Briatore inscena a Malindi. Sappiate, replicò la bionda fatina «sinceramente democratica», che aborro folleggiare in dimore capitalistiche fronte mare: mica sono una sciacquetta e se vado in Kenia lo fo da «turista consapevole» (il turista consapevole non si diverte, ma piange sulle miserie del Terzo mondo, diserta alberghi, spiagge e ristoranti per dormire sulla nuda terra in qualche tukul, «condividendo» il cibo e la giornata con i nativi, magari prestandosi a fare da baby sitter a una pluripara kikuyu). Poi uscirono le foto che la ritraevano chez Briatore in veste di menade spensierata e la fatina ci fece una figura che la decenza m’impedisce di specificare.
Lo stesso è capitato a Stefania Craxi, anch’ella indisponibile ad ammettere d’esser una tropicovacanziera. È andata che in queste feste di fine anno alle Maldive, dove s’erano rifugiate frotte di Vip, ha piovuto giorno e notte. Una bella scalogna per chi vi si era recato in cerca di estate, tintarella e joie de vivre. Al cronista che le chiedeva come l’avesse presa, Stefania Craxi rispose: «Le piogge? Di queste cose non mi interesso. Ho le mie letture, i miei quaderni, sono qui per riflettere».

Uelà! E una sceglie il Palm Beach Resort & Spa su un atollo nel bel mezzo del Pacifico per attività che poteva svolgere a casa propria o alla Pensione Onda Marina di Gabicce Mare? Mi ricorda, la simpatica Craxi, quelli che svegliati da una telefonata alle quattro di notte, al classico: «Scusa, dormivi?» rispondono con voce impastata: «Ma no, figurati, stavo leggendo...».

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