RomaNe Lautunno del patriarca, Garcia Marquez esordisce con limmagine lugubre degli avvoltoi che invadono il palazzo presidenziale del Dittatore morente, smuovendo con le ali «il tempo stagnato nellinterno».
La Padania non ha il clima né i colori dei Caraibi, e Umberto Bossi non è un despota sudamericano. Ma - mutatis mutandis e fatta la tara del realismo magico marqueziano - latmosfera del solitario autunno di un Capo (finora) incontrastato cè tutta. La fuga nottetempo da Calalzo di Cadore - un tempo plaudente feudo estivo dell«asse del Nord» - con tanto di body-guard mandati a rifare in fretta e furia i bagagli, ne è un simbolo potente. Per non parlare della canotta, indumento che - dopo il Craxi sudato del congresso Psi di Bari - è assurto a paradigma del potere declinante. Anche se le intenzioni del leader del Carroccio, probabilmente, erano diverse e nel mostrarsi in canotta da muratore voleva evocare piuttosto il piglio decisionista con cui mandò a quel paese il Cavaliere nellestate del ribaltone.
Ma i tempi sono cambiati, e ora è il leader della Lega ad essere in difficoltà anche nel proprio partito, un tempo leninisticamente compatto. Lesibito asse con Giulio Tremonti in questi torridi giorni di tensioni sulla manovra ha creato non pochi malumori. Anche perché, spiegano gli insider, Bossi sarebbe più ostaggio che attore del riavvicinamento al super-ministro, pilotato (e a fini tutti interni, «per rafforzarsi contro Maroni») da Roberto Calderoli e dal famoso e traballante «cerchio magico». «Ma quale asse, Tremonti è bollito», sbotta un parlamentare lombardo della Lega, vicino a Bobo Maroni. «Mezzo partito ormai lo ha scaricato, anche se va a cena con Bossi. Non ne possiamo più dei paletti e delle pastoie burocratiche che ha infilato ovunque, nel Nord tutti i nostri amministratori sono inorriditi». Già: il partito dei sindaci leghisti è lavanguardia più rumorosa della rivolta interna che ribolle nel Carroccio. Sui tagli agli enti locali, avallati dai ministri della Lega che hanno votato la manovra, si è aperta la prima vera frattura politica tra base e vertice, tra «territorio» e «Capo». Per spostare lattenzione da quella batosta, Bossi ha deciso di sventolare la bandiera delle pensioni, su cui ieri proprio Calderoli ha ribadito il niet: «Non cè nessuna apertura da parte nostra». Un messaggio chiaro, e - dicono i ben informati - condiviso se non fomentato da Tremonti stesso, che «usa la Lega per stoppare le proposte di riforma previdenziale di Brunetta e degli altri liberal Pdl». «Abbiamo salvato i poveracci», è da giorni il refrain bossiano, «abbiamo impedito che venissero bastonati i vecchietti che devono rubare al supermercato per mangiare». Immagine vivida e straziante, ma poco realistica, visto che nessuno ha mai parlato di tagliare le pensioni esistenti: lipotesi sul tavolo è se mai quella di un innalzamento delletà di anzianità. Sul quale Maroni, che due legislature fa firmò la riforma del famoso «scalone» (poi smantellata da Prodi e Bertinotti), sarebbe assai più disponibile a trattare. In cambio di un sostanzioso ridimensionamento dei tagli agli enti locali, che non costringa i sindaci del Nord, il prossimo anno, ad aumentare di nuovo le tasse locali.
E infatti è sul ministro degli Interni - che in questi giorni coltiva assidui contatti telefonici con il segretario Pdl Angelino Alfano - che conta, per scardinare il blocco Bossi-Tremonti sulle pensioni, la cosiddetta «fronda» Pdl. «Nel partito tira unaria brutta - spiega il parlamentare maroniano - non vogliamo restare incastrati in questangolo, e il dialogo con chi nel Pdl è altrettanto scontento di questa manovra ci deve essere, se vogliamo rimetterci mano e cambiarla». Daltronde, osserva, «se si è mosso Crosetto vuol dire dietro la fronda cè anche il Cavaliere».
Lunedì, nella riunione di segreteria del Carroccio, le linee dei due «assi» (quello Calderoli-Bossi-Tremonti e quello Maroni-Alfano) si confronteranno e - forse - si scontreranno.
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