L’estrema sinistra: ora via dall’Afghanistan

Comunisti italiani e Rifondazione insistono sul cambiamento della nostra politica estera: la priorità dev’essere la missione in Libano, oltre all’indizione di una conferenza internazionale sul Medio Oriente

da Roma

Una «pietra miliare per il governo e il popolo iracheno». Così da New York il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha commentato il passaggio di consegne nella provincia di Dhi Qar, con l’ufficializzazione del ritiro della missione entro e non oltre il 21 dicembre. E con lui le voci del governo sono state tutte di elogio per questa «missione compiuta», anche se l’addio all’Irak arriva in «un giorno di lutto», come ha ricordato il ministro Arturo Parisi a Nassirya, dedicando la conclusione della missione Babilonia a Giuseppe Orlando e Mario Vitaliano, i due militari italiani morti in Afghanistan e in Irak per circostanze simili, mercoledì sera e giovedì mattina, in due incidenti stradali.
Ma, al di là della soddisfazione per il ritiro, per l’ala radicale della maggioranza la conferma del rientro da Nassirya, con una data certa, è stata l’occasione per rilanciare una exit strategy anche per l’Afghanistan, riaprendo una questione chiusa con il controverso decreto di rifinanziamento dello scorso luglio che aveva fatto esplodere i dissidi interni al centrosinistra sulla politica estera e sul ruolo italiano a Kabul.
A spingere in questa direzione non sono solo i Comunisti italiani, ma anche Rifondazione, che era stato il partito mediatore nella scrittura di un testo finale sul rifinanziamento della missione afghana che accontentasse anche i pacifisti. «L’Italia - dichiara il responsabile esteri del Pdci, Jacopo Venier - esce da una guerra neo-colonialista scatenata sulla base di plateali bugie. Ora si tratta di continuare su questa strada ritirando al più presto le nostre truppe dall’Afghanistan dove i nostri soldati rischiano ogni giorno di più di essere parte di una guerra aperta che rischia di coinvolgere anche il Pakistan». Secondo il capogruppo dei Comunisti italiani alla Camera, Pino Sgobio, il ritiro dall’Irak è il primo passo di «un processo politico e diplomatico che veda sempre più l’Italia protagonista di pace nella risoluzione della crisi mediorientale». Il ruolo dell’Italia «può acquistare un maggior peso - valuta Sgobio - con la messa a punto di una concreta exit strategy dall’Afghanistan e con la proposta ufficiale, in sede di Unione Europea, dell’indizione di una conferenza di pace internazionale, che coinvolga attivamente i Paesi mediorientali».
Ma il modello Irak da applicare all’Afghanistan viene condiviso anche dal Prc, come spiega il segretario, Franco Giordano: con il passaggio di consegne agli iracheni «si registra un tangibile segno di cambiamento di indirizzo della politica estera del nostro Paese. Adesso dobbiamo pensare a un’inversione di tendenza anche in Afghanistan». La discussione sulla missione afghana va riaperta anche secondo i Verdi: «È importante - sostiene il capogruppo alla Camera Angelo Bonelli - aprire una discussione sul ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan perché la priorità per il nostro Paese oggi è la missione di pace in Libano e anche perché la presenza in Afghanistan è estremamente gravosa dal punto di vista economico».
Sono «trionfalismi paradossali» secondo l’opposizione.

Da D’Alema e Parisi ci si sarebbe aspettati «che commentassero con sobrietà il passaggio di consegne all’esercito iracheno - puntualizza il leader dei Riformatori liberali Benedetto Della Vedova -. Parole come missione compiuta pronunciate da esponenti di un governo che ha decretato una precipitosa e ideologica fuga per i nostri militari assumono un tono beffardo».

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