L’euro non si ferma, superata quota 1,31

A metà dicembre Paulson e Bernanke a Pechino per chiedere uno yuan più forte

Rodolfo Parietti

da Milano

Le più preoccupate sono le aziende del made in Italy: per le inevitabili ripercussioni sull’export e per la reazione della Borsa, dove ieri i titoli del lusso e della moda sono scivolati pesantemente. Ma la nuova spallata al dollaro sferrata dall’euro, che ha sfondato quota 1,31 (picco a 1,3109) toccando il livello più alto degli ultimi 19 mesi, non è piaciuta a nessuno in Europa, dove i listini hanno reagito con ribassi a catena.
Eppure, l’attuale scenario valutario non sembra suscettibile di variazioni sostanziali nel breve periodo. Non almeno fino a quando i mercati continueranno a essere certi che la Bce alzerà ancora le leve dei tassi, accorciando così il differenziale con il costo del denaro americano. Le sottolineature della Federal Reserve sui rischi d’inflazione non hanno convinto quasi nessuno, perché il problema principale degli Stati Uniti è ora l’entità della frenata economica. Le revisioni al ribasso sulla crescita del Pil 2006 e 2007, rese note qualche giorno fa dalla Casa Bianca, hanno messo il timbro ufficiale a quanto già si sapeva: anche se non vi sarà uno scoppio della bolla, la decelerazione del mercato immobiliare non sarà indolore.
Lo stato di salute dell’economia dovrebbe quindi convincere la Fed - spiegano gli analisti - a mantenere invariata la politica monetaria sino alla fine dell’anno, linea che l’istituto guidato da Ben Bernanke sta peraltro seguendo ormai da tre mesi dopo le 17 strette consecutive decise dal giugno 2004. Nel 2007, in presenza di una flessione dell’attività più marcata del previsto, l’istituto di Washington potrebbe procedere con un taglio di un quarto di punto, in modo da riportare i tassi al 5%. Da un lato, questa manovra renderebbe probabilmente più aspro il dibattito interno alla Fed sulle strategie monetarie; dall’altro, avrebbe la benedizione della Casa Bianca. Che, pur senza mai confessarlo, sta agevolando la discesa del dollaro, come ha più volte lasciato intendere il segretario al Tesoro, Henry Paulson, pronto a volare a metà dicembre in Cina assieme a Bernanke, con lo scopo di convincere Pechino a rivalutare lo yuan. Paulson riceverà forse un’accoglienza fredda: le ripetute flessioni del dollaro stanno costando care all’ex Impero Celeste, le cui riserve valutarie - pari a un miliardo di dollari - sono per lo più costituite da biglietti con l’effigie di George Washington. Non a caso, il vicegovernatore della Banca centrale cinese, Wu Xiaoling, ha fatto ieri esplicito riferimento al fenomeno, comune ai Paesi asiatici, contribuendo a indebolire ulteriormente il dollaro.
La Cina ha più volte espresso nell’ultimo periodo l’intenzione di diversificare i propri stock valutari. Un processo destinato, in prospettiva, a rafforzare ulteriormente l’euro.

Nell’attesa, i mercati puntano sui prossimi rialzi dei tassi (attualmente al 3,5%) nell’euro zona, il primo dei quali è atteso per il mese prossimo e l’altro nel marzo 2007. Forte dei positivi dati congiunturali che giungono dall’area, la Bce sembra avere ancora ampi margini per combattere l’inflazione a colpi di aumenti del costo del denaro. E i mercati si comportano di conseguenza.

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