da Milano
Sempre più piccolo, il dollaro. Cominciata lo scorso 27 aprile, quando il presidente della Fed Ben Bernanke aveva lasciato chiaramente intendere che la banca centrale Usa avrebbe potuto interrompere la lunga fase di rialzo dei tassi dinteresse, da allora la fase calante del biglietto verde non si è più interrotta, fino a portare ieri leuro più vicino a quota 1,28, con un picco di seduta a 1,2765 che rappresenta il livello più alto dal maggio 2005.
La moneta americana è stata ieri penalizzata dai dati sul mercato del lavoro, considerati nel complesso deludenti: appena 138mila i nuovi posti creati in aprile, decisamente al di sotto delle aspettative degli analisti che puntavano su un incremento di 200mila unità, mentre il tasso di disoccupazione (frutto di una diversa rilevazione statistica) è rimasto fermo al 4,7%. Insomma, dopo la corsa del primo trimestre (più 4,8% il Pil) il previsto segnale di rallentamento economico sembra essere arrivato, con le aziende rese prudenti nelle assunzioni anche dai forti rincari subiti dalla bolletta energetica in seguito allaumento dei prezzi petroliferi. È inoltre probabile che sul mercato del lavoro si stia facendo sentire leffetto combinato dei ripetuti rialzi (15 finora) del costo del denaro disposti dalla Fed a partire dal giugno 2004.
Ed è proprio la possibile evoluzione della politica monetaria americana a condizionare il dollaro. Perché il rallentamento del mercato del lavoro rende ancora più plausibile la possibilità di uno stop alla strategia restrittiva della Fed. Probabilmente non già nella riunione del 10 maggio, in cui dovrebbe essere deciso un nuovo giro di vite di 25 punti dei tassi (dal 4,75 al 5%), ma in quella di giugno. Resta tuttavia da vedere se e in che modo i recenti indizi di surriscaldamento dellinflazione incideranno sulle scelte di Bernanke.
Il dollaro deve inoltre fare i conti con le prospettive di aggiustamento monetario in Europa.
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