Politica

L’Europa in guanti bianchi

L’arresto del capo del controspionaggio italiano e la richiesta della custodia cautelare per l'ex capo della Cia in Italia aprono un capitolo nuovo sul tema della guerra al terrorismo e sugli strumenti che vengono utilizzati per combatterla. I nostri servizi segreti hanno stretti rapporti di collaborazione con tutte le altre agenzie di intelligence dei Paesi occidentali e non solo. Il Sismi ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nel caso del rapimento di Abu Omar e ieri il governo ha ribadito la sua fiducia nella lealtà della nostra intelligence. Questo ovviamente non chiude il caso giudiziario né risponde alla domanda che in molti oggi si fanno: con quali mezzi si contrasta il terrorismo? Con quali leggi? Con quale livello di segretezza e sicurezza per lo Stato e l'incolumità dei suoi cittadini?
Sono domande enormi sulle quali gli Stati Uniti hanno cominciato ad aprire gli occhi dopo l’11 settembre 2001. Dilemmi ai quali il Congresso americano e la Casa Bianca hanno cercato comunque di dare una risposta - non sempre forse nella maniera migliore - mentre l’Europa ancora tentenna e non sa che fare. Il Vecchio Continente finge stupore per i voli segreti della Cia, alza la sua vibrante protesta per l’esistenza del carcere speciale nella baia di Guantanamo (dove tre recenti suicidi hanno fatto scalpore, mentre nessuno si indigna per i 57 suicidi nelle carceri italiane nel solo 2005) ma non ha soluzioni alternative perché ancora non ha chiaro il profilo della minaccia. L’Italia ovviamente non fa eccezione e anzi, a causa della sua storia recente e dello sbilanciamento tra ordine giudiziario e potere politico, rischia di essere la frontiera occidentale di un conflitto aspro tra le ragioni dell’etica e del diritto e quelle della sicurezza. Nei tribunali italiani sono state scritte sentenze dove i «terroristi» sono diventati «resistenti» e ai quali è stato dato lo status giuridico di «combattenti» che si opponevano all’esercito invasore. L’Italia affronta con leggi studiate per i reati di criminalità comune o organizzata, uno scenario completamente nuovo, senza precedenti nella storia contemporanea. L’Europa giudica l’operato degli Stati Uniti - dei suoi soldati, dei suoi agenti segreti, delle sue forze speciali - pensando ancora alla guerra classica, quella dove sul campo si affrontano due eserciti in divisa. Errore. Qui il nemico non indossa la divisa e non alza le insegne, non ha uno Stato da difendere, non rispetta regole di ingaggio, non tratta i prigionieri secondo le regole della Convenzione di Ginevra ma li sgozza, uccide deliberatamente uomini, donne e bambini.
È l’agghiacciante scenario della guerra asimmetrica che in Europa abbiamo tristemente sperimentato con gli attentati di Madrid e Londra. Di fronte a questo quadro a tinte fosche si è detto mille volte - da destra e da sinistra - che «occorre più prevenzione e più intelligence». Ma più intelligence significa anche cooperazione al massimo livello tra gli Stati e i loro servizi segreti, spionaggio, controspionaggio e anche - non nascondiamoci dietro il velo dell’ipocrisia - covert operations, «operazioni coperte» alle quali possono essere chiamati a collaborare altri partner internazionali.
Non sappiamo che cosa sia successo nel caso Abu Omar, ma sappiamo che gli agenti segreti degli Stati Uniti sono protetti dagli executive order del Presidente che sono vagliati dal Congresso. Sono protetti perché hanno il delicato compito di difendere lo Stato e i suoi cittadini spesso in condizioni estreme, a volte al limite della legalità e a rischio della vita. Non sappiamo se e quanto il Sismi sia coinvolto nel caso Abu Omar, ma abbiamo sentito il ministro dell’Interno Giuliano Amato in Parlamento nei giorni scorsi descrivere le linee programmatiche del suo ministero e dire che «l'Italia è un Paese che ha saputo sviluppare buone relazioni di scambio di informazione e di intelligence con i Paesi che la circondano. Ho citato anche in sedi internazionali, con orgoglio di italiano, che se non abbiamo avuto gli attentati che erano stati progettati, a San Petronio a Bologna e nella metropolitana di Milano, lo dobbiamo ai rapporti informativi che sono stati instaurati con il Marocco e con altri Paesi della costa nord dell’Africa». Queste relazioni con gli altri servizi segreti sono fondamentali per fermare i sospetti prima che sia troppo tardi, prima che un ticchettìo sinistro sconvolga le nostre vite, ma nessuna agenzia di intelligence può collaborare serenamente con uno Stato dove l’incertezza del diritto e l’assenza di bilanciamento dei poteri rischiano di portare a una richiesta di arresto dei suoi agenti sul campo.
Il nuovo disordine mondiale impone ai governi - di qualunque colore essi siano - responsabilità gravi sul fronte della sicurezza.

Occorrono decisioni serie che sul fronte della legislazione non sono più rinviabili, a meno che non si pensi che la guerra al terrorismo si possa fare indossando i guanti bianchi.

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