Politica

L’Europa a Maometto

Dopo diverse prese di posizione, rinvii giustificati da errate adempienze burocratiche oppure dall'uso della lingua francese invece di quella tedesca, alla fine la manifestazione a Bruxelles prevista per il prossimo 11 settembre è stata proibita. Cosa avrebbero voluto chiedere nella capitale simbolica dell'Unione Europea, gli organismi danesi, inglesi e di diverse altre nazioni con la loro manifestazione? Il blocco dell'immigrazione musulmana e la massima attenzione affinché i Tribunali non scivolassero, come sta già accadendo anche negli Stati Uniti, nell'applicazione della giustizia, in sentenze dettate dal diritto islamico più che da quello romano-occidentale. La decisione di rivolgersi a Bruxelles era ovviamente dettata dalla fiducia nella entità politica «Europa» da parte di alcuni degli Stati che ne fanno parte, una Europa ritenuta creatrice, da lunghi secoli, della cultura occidentale e che nessuno fino ad oggi avrebbe mai ritenuto capace di perderla, islamizzandosi nel pensiero e nel costume giuridico, non in base alla fede religiosa, ma per ragioni di opportunità politica.
Ma quello che è avvenuto con questa decisione, mette i cittadini europei - europei davvero, non perché come tali iscritti all'anagrafe - di fronte ad una realtà che non permette più neanche un momento di dubbio da parte dei politici e dei governanti. La superficialità, la banalizzazione dei costumi come valori storici, linguistici, culturali, sono state alla base del progetto di unificazione europea fin dall'inizio. I politici non hanno chiesto consiglio a nessuno: sono stati così presuntuosi, così autoritari nel decidere il destino presente e futuro di centinaia di milioni di persone, che non li ha fermati né la differenza di una trentina di lingue (senza contare i dialetti), né la differenza delle religioni; una differenza molto più difficile da comporre in quanto il Corano è nato per ultimo dall'ebraismo, ma Maometto ha dichiarato che era lui l'ultimo profeta perché soltanto lui ne aveva inteso la rivelazione in maniera perfetta.
Ma la vicenda di Bruxelles è molto significativa anche per diversi altri motivi. Il primo consiste nell'errore che è stato fatto dai governanti nello scegliere come sede per le istituzioni dell'Ue un Paese già di per sé in fibrillazione come il Belgio, nel quale convivono tre popoli diversi con tre lingue diverse che aspirano con forza all'autonomia. È probabile che i timori del sindaco di Bruxelles di non poter garantire l'ordine pubblico siano stati dovuti anche alla situazione locale, dove i fiamminghi in particolar modo non vedono l'ora di liberarsi di tutti i lacci piccoli e grandi che l'Unione europea comporta.
Una conclusione, tuttavia, bisogna trarla da questa vicenda. Tralasciamo pure la mancanza di libertà e di democrazia, nella tanto osannata isola felice dell'Europa, che si propone costantemente come esempio al mondo. Su questo aspetto contiamo di poterci soffermare in un altro momento. Il problema più grave rimane il timore delle autorità nei confronti della presenza islamica in Europa. La colpa è nostra, dell'Europa, soltanto nostra. Malgrado tutte le tragiche esperienze passate fatte in ogni parte del mondo, noi continuiamo ad essere convinti che quello che pensiamo noi, quello che facciamo noi è sicuramente giusto e confacente a tutti. Bene, non è così. La democrazia, per esempio, non è affatto adatta alla maggior parte dei popoli. È sufficiente guardare l'Africa... Lo stesso discorso vale per le religioni. La globalizzazione, l'universalismo, l'integrazione sono concetti che dobbiamo necessariamente sottoporre ad una critica serena, ma durissima. Non possiamo aspettare più neanche un momento.

Cominciamo da oggi.
Ida Magli

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