L’Europa è preoccupata: se crolla la Grecia il contagio si allargherà

«Stiamo giocando col fuoco». Jean-Claude Juncker teme le fiamme, ma rischia di passare per incendiario. Stasera a Lussemburgo va in scena la riunione dell’Eurogruppo, presieduto proprio da Juncker, dedicata alla crisi greca e, in particolare, allo sblocco dell’ultima tranche di aiuti (12 miliardi di euro) del pacchetto da complessivi 110 miliardi. L’erogazione definitiva resta sub judice, in attesa che martedì prossimo il nuovo governo varato da George Papandreou dopo un ampio rimpasto ottenga la fiducia dal Parlamento ellenico. Ma il problema non è questo.
Il nodo, semmai, è legato al secondo piano di salvataggio di Atene, ancora tutto da definire almeno per quanto riguarda i tempi di attuazione. Quanto allo strumento di intervento, la soluzione indicata venerdì da Francia e Germania prevede la partecipazione, su base volontaria, dei creditori privati. Un contributo che deve essere «sostanziale, misurabile e affidabile», ha precisato ieri il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Trovando la convergenza con Parigi, Berlino ha di fatto compiuto un passo indietro rispetto alle rigidità manifestate a più riprese nelle scorse settimane, quando l’idea-diktat ruotava attorno all’adesione obbligatoria al programma di aiuti da parte delle banche, delle assicurazioni e dei fondi d’investimento. In più, i tedeschi pretendevano un allungamento di sette anni delle scadenze dei sirtaki-bond.
L’ammorbidimento tedesco non convince però Juncker. Il premier lussemburghese è preoccupato per l’eventuale risposta delle agenzie di rating, mai così sensibili come in quest’ultimo periodo alla crisi del debito sovrano, forse in reazione alle accuse di scarsa vigilanza ricevute in seguito allo scandalo mondiale dei mutui sub prime e degli asset tossici. Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch potrebbero infatti considerare come default parziale anche la ristrutturazione del debito così come è stata prospettata da francesi e tedeschi. E ciò avrebbe «estreme conseguenze» per la zona euro, teme Juncker. Per non parlare di un possibile effetto contagio al Portogallo e all’Irlanda e poi, a causa del loro debito elevato, «anche al Belgio e all’Italia, persino prima della Spagna». Quindi, un altro siluro indirizzato alla Germania: «Tutto sarà più costoso - ha aggiunto - perché cerchiamo di includere i creditori privati per questioni di politica interna tedesca». Come dire: dopo la recente batosta elettorale, il cancelliere Angela Merkel sta cercando di riguadagnare consensi attraverso un accordo meno oneroso per le tasche dei cittadini tedeschi, peraltro già da tempo maldisposti ad aiutare chi, come la Grecia, «ha truccato i conti».
Su un punto almeno c’è identità di vedute tra Juncker e la Germania: una bancarotta sovrana sarebbe «incontrollabile», ha detto la Merkel. Convinta tuttavia che la Germania avrebbe i mezzi per ricapitalizzare le proprie banche, esposte verso la Grecia per 34 miliardi (peggio sta la Francia, con 53 miliardi, molto meglio l’Italia, con appena tre miliardi, nulla rispetto agli 80 miliardi degli istituti greci), mentre i Paesi più deboli di Eurolandia potrebbero «avere dei problemi».

Ma stasera, alla riunione dell’Eurogruppo, l’atmosfera rischia di surriscaldarsi presto a causa delle dichiarazioni di Juncker. Con un risultato opposto rispetto all’invito a superare le divergenze rivolto qualche giorno fa dal commissario Ue, Olli Rehn, che domani, alla riapertura dei mercati, non sarebbe certo privo di conseguenze.

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