L’Europa ritrova l’unione per scacciare la crisi

È un’Europa meno litigiosa e più disposta a sacrificare il particulare a favore del bene collettivo quella uscita ieri dalle riunioni straordinarie dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, convocate a Bruxelles per approvare il piano di aiuti all’Irlanda e dare ai mercati una risposta ferma, la sola - forse - in grado di placarne le tensioni. I negoziati - estesi anche ai rappresentanti di Inghilterra, Svezia e Danimarca, i tre Paesi al di fuori di Eurolandia chiamati a puntellare ulteriormente l’accordo - sono scivolati senza intoppi né lacerazioni verso un esito scontato nella parte relativa al salvataggio dell’isola verde: Ue e Fondo monetario internazionale staccheranno pro quota (i due terzi toccheranno al Vecchio continente, come già avvenuto in occasione del bail out greco) un assegno da 85 miliardi di euro, di cui 35 destinati a portare ossigeno al cianotico sistema bancario irlandese mentre i restanti 50 serviranno per risanare le casse di Dublino.
Anche quello che rischiava di essere il nodo più complicato è stato sciolto: l’Irlanda si accollerà un tasso di interesse sul prestito pari al 6% (calcolato in base all’Euribor maggiorato di un 5%), più oneroso se confrontato con il 5,2% applicato ad Atene in occasione della concessione degli aiuti per 110 miliardi (le cui scadenze saranno riviste), ma meno pesante rispetto al 6,7% dell’ipotesi circolata sabato scorso che sarebbe costato a Dublino 8,5 miliardi di euro l’anno.
Meno prevedibile alla vigilia, invece, è il compromesso raggiunto sul futuro meccanismo anti-crisi permanente che sarà implementato dal 2014 per sostenere i Paesi della zona euro in difficoltà. La convergenza è stata infatti trovata sulla partecipazione anche dei privati (per esempio, le banche e i fondi di investimento) al paracadute che sostituirà l’attuale dispositivo di aiuti, l’European financial stability facility. Con un dettaglio fondamentale, però: questo coinvolgimento sarà valutato «caso per caso» e non più «in ogni caso» come pretendeva la Germania. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha finito per sposare la linea più morbida della Francia e delle altre capitali europee, compiendo un passo indietro rispetto all’intransigenza che aveva spaventato i mercati. Anche perché alcune dichiarazioni di dubbia interpretazione rimbalzate da Berlino sembravano adombrare la possibilità di una chiamata in causa fin da subito delle banche negli ingranaggi di risoluzione della crisi. Sia la Commissione Ue, sia il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, erano stati costretti a intervenire per precisare che la posizione tedesca era ancora oggetto di discussione e che, soprattutto, riguardava il prossimo fondo salva-Stati.
Alla fine, l’Ecofin ha fatto propria la soluzione concordata prima del vertice dall’asse franco-tedesco, perfezionata dopo un’ampia consultazione lanciata negli scorsi giorni da Nicholas Sarkozy con il premier italiano Silvio Berlusconi (con il quale la Merkel ha avuto ieri un colloquio telefonico), lo spagnolo Luis Zapatero e il portoghese Josè Socrates. Come funzionerà il futuro fondo? In pratica, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker, verrà predisposto un meccanismo simile a quello già applicato dal Fmi: il Paese insolvente negozia con i suoi creditori del settore privato, caso per caso appunto, la ristrutturazione del proprio debito.
Di fronte alla prospettiva catastrofica di un’implosione dell’architettura dell’Unione, l’Europa ha finalmente recitato ieri la parte giusta: parlando a una sola voce e trovando soluzioni condivise. «Stavolta l’Europa si è mostrata unita - ha confermato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti - . Ora vedremo domani (oggi, ndr) come reagiranno i mercati».

Dall’andamento dei listini azionari, la scorsa settimana sottoposti a forte stress, e dai differenziali di rendimento dei titoli di Stato periferici rispetto al Bund si avrà la percezione di quanto i timori di un possibile effetto contagio della crisi del debito sovrano siano rientrati. Oppure se, chiuso il capitolo irlandese, debbano essere ancora scritti quelli che riguardano Spagna e Portogallo.

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